Per questo racconto ringraziamo Elena Balsamo di bambinonaturale.it

 

 

un_bambino.

Ecco nei ricordi di un Uomo-Medicina Creek un assaggio di saggezza e spiritualità indiana:

Quando avevo tre anni, mia madre mi portò sulla cima di una collina vicino a casa nostra e mi presentò agli elementi. Per prima cosa mi presentò alle Quattro Direzioni (Est, Sud, Ovest e Nord). "Chiedo una benedizione speciale per questo bambino. Voi che circondate le nostre vite e che ci fate andare avanti, per favore, proteggetelo e fate in modo che la sua vita sia equilibrata. "


Poi mi fece toccare con i piedini la Madre Terra. "Cara Madre e Nonna Terra, un giorno questo bambino camminerà, giocherà e correrà su di te. Ogni giorno cercherò di insegnargli ad avere rispetto per te. Ovunque andrà, per favore, prenditi cura di lui."

Venni quindi presentato al sole. "Nonno Sole, splendi su questo bambino mentre cresce. Fai in modo che ogni parte del suo corpo sia normale e forte, non solo fisicamente ma anche mentalmente. Ovunque sia , circondalo con la tua energia calda e piena di amore. Sappiamo entrambi che nella sua vita ci saranno giorni pieni di nuvole, anche se tu sarai sempre presente e splendente: per favore raggiungi con i tuoi raggi questo bambino e mantienilo sempre al sicuro".

Mia madre mi sollevò e lasciò che la brezza mi avvolgesse mentre si rivolgeva al vento: "Per favore, riconosci questo bambino. A volte soffierai con forza, a volte sarai molto gentile, ma lascia che lui cresca imparando il valore della tua presenza in ogni momento mentre vive su questo pianeta."

Poi fui presentato all'acqua. "Acqua, senza di te non possiamo vivere. L'acqua è vita. Chiedo che questo bambino non conosca mai la sete."

Mia madre cosparse la mia fronte di cenere dicendo: "Fuoco, brucia gli ostacoli che mio figlio incontrerà nella vita. Liberagli la strada affinché non inciampi lungo il sentiero che lo conduce ad imparare ad amare e rispettare tutte le forme di vita".

Quella stessa notte venni presentato alla luna piena e alle stelle...

Elena Balsamo

‘’Abbiamo ricevuto un racconto bellissimo da Lionello , ci ha fatto sognare ed essere nello stesso luogo del racconto. Ci auguriamo che sia cosi’ anche per tutti coloro che leggeranno’’

 

campo-di-grano-con-fiori-di-maisIl contadino mi avverte che c 'è il tasso nel campo in fondo del granturco. Ha già trovato più di cento stocchi piegati e la pannocchia divorata.

Non è ancor granito, il chicco; è tenero, lattiginoso, succulento, dolciastro; proprio come piace al tasso, che lo preferisce a quello maturo. Il capoccia mi avverte che è furbo come il diavolo.

— Ho provato a ' fregarlo ' in tutti modi ; mi sente a mezzo miglio e se la batte; se vuol provar lei... ma badi, bisogna ci perda la notte, perché la luna s'alza tardi.

S'alza verso la mezzanotte; ma io, alle undici, son già li, al margine fra il bosco e il campo e son lieto che il vento mi soffi alle spalle. Il tasso, che viene dalla collina di fronte, non mi sentirà.

E venuto con me il mio ragazzo maggiore. Ha quindici anni: un altr'anno, se passa all'esame, gli prenderò la licenza di caccia, sotto la mia responsabilità; ma posso prendermela, perché già pratico da anni, fin dagli undici o dodici, quando mi prendevo, di frodo, la carabina e andavo pei boschi col figliuolo, a caccia di merli e pettirossi.

E quindi non gli ho potuto impedire di portare, anche lui, il calibro venti. Tanto, è quasi nella legge!

La caccia di notte, caccia proibita per ogni altro animale che non sia nocivo, ha un gran fascino per lui, e, lo confesso, anche per me. L' aspetto ha sempre in se qualcosa di misterioso e di avventuroso; qualcosa che ci richiama ai romanzi di caccia grossa: la caccia in cui l'imprevisto è tutto e la certezza è nulla.

Io non ho mai ammazzato un tasso all'aperto; ne ho ammazzato solo uno, in vita mia, ma alla tana.

Il tasso è una bestia un po' da favola, un po' da leggenda.tasso

E’ comune, in campagna, ma pochi lo vedono; tutti ne parlano e pochi possono vantarsi di avergli tirato; i contadini lo descrivono a tinte fosche: bestia pericolosa, feroce, mordace; con denti tanto duri da intaccare il ferro di una vanga; quando è infuriato, può sbranare a morsi cani e uomini. In corsa, nessuno lo arriva; è dannoso tanto da compromettere un raccolto di granturco; nelle vigne poi è un flagello: vendemmia per proprio conto. Ha un odorato come cento cani e una vista come cento linci. La sua carne è più squisita di quella del cinghiale.

Questa, si capisce, è la leggenda campagnuola: la realtà è diversa.

II tasso è una bestiola patriarcale e inoffensiva; non chiede che di esser lasciata in pace. E’ solitario, ama le belle notti di luna; ama tutte le cose buone e dolci: le mele cadute dagli alberi, le ghiande, i tartufi, il miele selvatico, il granturco tenero e l'uva matura.

Non ha mai compromesso nessun raccolto. II contadino lo incolpa di molti ladrocini che non è lui a commettere; tanto, sa che il tasso non verrà mai a difendersi, ne lo querelerà per calunnia.

II contadino e i ragazzi del contadino mangiano le primizie, non le danno mica al padrone! Ma il tasso si contenta delle ultime frutta, di quelle cascaticce, di quelle un po’ guaste, di quelle che avvizziscono sulla pianta e che i primi venti dell'inverno buttano giù dall'albero: nespole rinsecchite, fichi verdini aggrinziti, ma dolcissimi: melucce che non valeva la pena di cogliere. Fa qualche danno, sì, ma il contadino esagera: il contadino non concede mai nulla a chi lo aiuta nella lotta contro i malvagi; il contadino vede il grappolo piluccato, vede il granturco rosicchiato, ma non vede la vipera divorata dal tasso, non vede le migliaia di chiocciole, di bruchi e di larve, che il tasso gli distrugge.

Queste parole non le dico a mio figlio. Gliele ho già dette quando era più piccolo. Ora taccio. Egli, è logico, mi direbbe: « Babbo e allora perche vieni ad ammazzare il tasso ?». E queste cose ai cacciatori non si devono dire. Non si è ancora alzata la luna. II campo di granturco, visto così, nella penombra, coi suoi pennacchi dritti, sembra un quadrato di granatieri in parata.

La leggera brezza notturna ci passa dentro con uno scroscio lieve di ruscello. Sul crinale dei poggi s'imbianca gia l'aurora della luna. II cielo si fa lattescente e diluito; Ie stelle vicine all'orizzonte impallidiscono, poi ad una ad una, si velano.

— Verrà proprio qui, il tasso? — chiede mio figlio a bassa voce. — II campo è immenso. —campograno

Gli addito la radura con gli steli piegati, dinanzi a noi,

— Verrà qui come di abitudine. Eppoi qui il granturco è più fresco. —

La luna si affaccia, enorme, aranciata. Non è più piena, ma di tre quarti. Ascende nel cielo, goffa, niente affatto poetica, come sempre quando è all'orizzonte.

La luna è bella quando è alta nel cielo, o quando cala, sottilissima falce. Al suo levare, piena o semipiena, non è poetica: non ha saputo ispirare leggiadre immagini; Dante l'ha detta simile a ' un secchione che tutto arda'; Shelley l'ha chiamata ' Candida massa informe '; altri non ha saputo vederci che una rosea frittata, o un grosso piatto dorato.

Poi, man mano che sale alta nel cielo, si ingentilisce, perde quel suo color vinato, si fa argentea, perlacea, immateriale.

Tutta la campagna, d'un tratto, si vela di un pulviscolo d'argento: trema; alita un respiro di frescura: quel che un poeta moderno ha detto ' il gelo estivo '.

Strano che pensi queste cose mentre son qui per ammazzare il tasso, questo rustico poeta colpevole soltanto di venir qui a sciogliere il suo digiuno.

Passa il tempo e non si sente alcun rumore. Anche la brezza è cessata e il granturco non stormisce più.

Comincio a credere che il tasso non verrà e non so dolermene.

Mio figlio tormenta nervosamente il suo schioppino; lo vedo agitato, come se invece di un pacifico mangiator di pannocchie, si aspettasse una tigre o una pantera. Credo che l'attesa, il batticuore, la passione, siano identici.

— Non viene — sussurra — son certo che è a mangiare altrove.

—Forse è cambiato vento e ci ha sentiti. —

Inumidisco un dito e lo levo in aria. No, una leggerissima brezza ci viene ancora di fronte.

Ora la radura è illuminata in pieno; credo che vi scorgeremmo un topo, se vi passasse attraverso.

Alzo una mano e trattengo il mio ragazzo che vorrebbe ancora far domande.

Non è che io ' senta' veramente qualcosa, ma intuisco, col sottile istinto del cacciatore, che qualcosa veramente avviene.

Si, alcunchè di impercettibile si muove al centro del campo. II tasso è silenzioso, nel suo incedere; ha un passo veramente ovattato e so che si ferma ogni momento ad ascoltare.

Lo vedo. E’ immobile al margine della radura. Se non avessi fissato l'occhio prima, su quel punto, potrei prenderlo per una zolla o per un grosso sasso rotondo; lo vede anche mio figlio e istintivamente imbraccia il fucile. Gli abbasso le canne.

Che avviene? L'attesa si prolunga. Ad un tratto odo lo stesso fruscio di poco prima, nell'interno del campo; poi, di colpo, il primo tasso si muove e viene avanti con un piccolo saltello, quasi agile, che non gli avrei sospettato; e nel tempo stesso un altro batuffolo oscuro esce all'ombra, esegue un identico salto e si ferma.

Li vedo distintamente: sono due. Ora penso che vedrò certamente qualche cosa di insolito, di interessante.

Metto un dito sulle labbra e anche il mio ragazzo risponde con lo stesso segno.

Assistiamo a una cerimonia stranissima.

I due animali stanno muso a muso; poi uno leva in alto la testa, come ad aspirare il vento e subito la riab-bassa sul terreno e ve la tiene fissa come in atto di sommo rispetto per il compagno. Quando egli la rialza, l'altro esegue l'identica pantomina. Questi reciproci inchini durano per tre o quattro volte, poi i due animali, muso a muso, cominciano un bizzarro dondolio dall'alto al basso, tenendo sempre i loro nasi ad un esatto livello.

A un tratto l'uno e l'altro eseguono un brusco giro su se stessi e tutti e due rimangono immobili.

I convenevoli dell'incontro sono finiti.

Noi guardiamo immobili, tenendo il respiro.

I due tassi vengono verso di noi; sono illuminati in pieno; si possono scorgere le striature sul dorso, e gli strani occhiali della maschera.

Una grossa e robusta spiga si erge, isolata, col suo pennacchio inargentato dalla luna; vedo anche la pan-nocchia, turgida, col suo ciuffo di barba. Uno dei tassi si alza sulle zampe posteriori, si appoggia allo stelo, lo abbatte; ma con nostra somma meraviglia non si precipita al ghiotto festino: rimane immobile, coricato sulla pianta, per impedirle di rialzarsi. L'altro si avvicina a piccoli passi, si prende la pannocchia fra le zampe davanti e comincia tranquillamente a sgranarla. L'altro pazientemente aspetta.

Aspetta... che cosa? Forse un invito? Forse un ordine? Ma non vengono, né l'uno né l'altro; il compagno divora i chicchi dolciastri e succulenti, e l'altro mantiene lo stelo ben aderente al terreno.

Sento un lieve squittire, simile a un lamento, meglio, al vagito di un bimbo; e il tasso che, stanco di aspettare, impaziente di esser chiamato, protesta. E, come non gli viene alcuna risposta, si muove. Cautamente, quasi senza muovere i piedi, risale la pianta, si avvicina, rimane fermo col muso a due dita dalla pannocchia e fa udire nuovamente lo stesso vagito.Due tassi

L'altro leva la testa dalla spiga e grugnisce rabbioso: qualcosa fra il gracidare di una rana e il soffio di un gatto; il compagno fa un piccolo salto indietro, si aggomitola col muso a terra e non si muove più.

E l'altro sgrana, sgrana, voluttuosamente, con un rumore ingordo, sonoro; nel mordere, la sua testa si agita dal basso all'alto; desiderio, o soddisfazione. Poi, d'un tratto, bruscamente, lascia e volta le spalle.

Subentra l'altro, che mangia più composto, con minor foga e minor rumore.

II primo assume, ora, l'identica posa dimessa e mansueta del compagno, col muso a terra.

Amo credere che il primo sia la femmina, il secondo il maschio. Voglio credere alla cavalleria, alla galanteria, all'altruismo; non all'egoismo, all'avidità, alla prepotenza.

Tutte le mie simpatie vanno al maschio, che toglie ogni fatica alla madre dei suoi piccoli, che le procaccia il miglior boccone, che si accontenta dei suoi resti.

Se fossi certo che il secondo altri non sia che un brutale ed egoista sultano, gli sparerei senza esitazione.

La scena si ripete. Esaurita la prima pannocchia, altri steli vengono abbattuti, sempre dal medesimo animale, che esegue sempre l'identica scena, senza variare una battuta.

E’ certo il maschio: è molto più grosso, molto più robusto; le sue strie, i suoi occhiali, appaiono segnati.

Quante? Mettiamo dieci pannocchie per sera: ogni pannocchia una media di cento chicchi, dunque mille chicchi per notte, quindicimila chicchi in quindici notti; un chicco, mezzo grammo: quindicimila chicchi, sette chili e mezzo di granturco! Da questo campo se ne raccoglieranno almeno venti quintali.

Sette chili e mezzo, contro duemila!

Questo marito e questa moglie, dunque, chiedono al contadino lo 0,35 per cento in paga di milioni di bruchi, vermi, e larve; di migliaia di chiocciole e lumache; di diecine di vipere divorate.

II contadino trova che questa indennità sia sempre troppo cara, e manda me, armato di schioppo, a vendicare l'oltraggio.

No, non vendicherò un bel nulla, o piccoli, occhialuti filosofi del bosco e della notte! Siete cosi belli, cosi buoni, così soffici, sotto l'argento della luna, che vi fa preziosi, distinti, veri animali da favola!

Ma poi... divoreranno davvero dieci pannocchie per notte? Non credo. Mi pare di averne contate quattro o cinque, forse sei; più, no di certo; ed ecco che son sazi. Stanno fermi uno di contro all'altro, muso a muso, anzi, naso a naso, e d'un tratto ecco che ricomincia la buffa cerimonia del dondolamento, degli inchini, del circolo a destra, circolo a sinistra: cerimoniale di commiato, come vi è stato quello di incontro.

Probabilmente, come avviene nelle grandi casate, monsignor tasso e madama tassa abitano in appartamenti separati e si ritrovano solo a ore fisse, in sala da pranzo, nella più ampia, nella più austera, nella più fastosa sala da pranzo che mai abbia posseduto un potente della terra; che ha, per soffitto, il paradiso azzurro; per decorazione, le stelle; per lampadario, la luna; per colonnati, le querce del bosco; per tappeto, l'erba del prato.

Che avviene? Sta per spuntare un'altra luna? A oriente galleggia nel cielo una nuova lattescenza: tornano a sparire le stelle, e anche la luna si è fatta pallida e diafana come una perla.

E’ l'alba.

Vedo i dorsi dei due tassi, rotondi, ispidi, scivolar via, uno dietro l'altro, tra i filari del granturco. Spariscono.

II mio ragazzo, senza dir nulla, leva la pezzuola di tasca e asciuga con cura le canne del fucile imperlate dalla rugiada.

Poi mi guarda, senza sorridere, e dice:

— E’ più bello che al teatro! —

Sfido! hanno recitato gli attori di Dio!

 

 

‘’Il racconto ci è stato inviato dal Signor Lionello Bessi di Caserta’’

 

 

‘’ Pubblichiamo questo articolo che ci sembra una testimonianza umana molto bella e interessante. Grazie agli autori’’

 

canegiallo. In Mongolia, si dice che “i migliori pugili sono stati allattati da piccoli per almeno sei anni”, un serio segno di approvazione in un paese dove la lotta è lo sport nazionale. Mi sono trasferita in Mongolia quando il mio primo figlio aveva 4 mesi, e ho vissuto lì fino a quando ne aveva 3.
Crescere mio figlio durante quei primi anni in un luogo dove l’approccio all’allattamento è difforme in modo così radicale dalle abitudini prevalenti in Nord America mi aprì gli occhi su di una visione totalmente diversa dell’argomento. Non solo i Mongoli allattano per un periodo lungo, ma lo fanno con più entusiasmo e minor inibizione di quasi chiunque altro io abbia incontrato. In Mongolia il latte materno non è solo per i neonati, non riguarda solo la nutrizione, e non è sicuramente qualcosa su cui mantenere il riserbo. E’ ciò di cui era fatto Gengis Khan.

 


Come molte mamme ‘per la prima volta’ non ho mai pensato molto all’allattamento prima di avere un bambino. Ma un minuto dopo che mio figlio, Calum, venne al mondo, si attaccò al seno e per i successivi quattro anni sembrò piuttosto determinato a non lasciarlo. Fui fortunata, poiché per molti versi l’allattamento fu facile, niente ragadi e quasi nessun ingorgo mammario. Psicologicamente, però le cose non furono così semplici. Se da una parte amavo il mio bambino e avevo a cuore il legame che l’allattamento ci offriva, dall’altra a volte questo mi sopraffaceva. Ero impreparata alla grandezza del mio amore per lui e all’intensità del suo bisogno di me e me sola per il mio latte. “Non lasciare che ti trasformi in un ciuccio vivente”, mi aveva avvertito un’infermiera canadese alcuni giorni dopo la nascita di Calum, mentre lui succhiava ora dopo ora. Ma io rincorrevo tutte le possibili ragioni del suo pianto - ha le coliche? è bagnato? poco stimolato? troppo stimolato?- e la maggior parte delle volte finivo semplicemente per allattarlo di nuovo. Mi domandavo se stessi facendo la cosa giusta.
Poi mi spostai dal Canada in Mongolia dove mio marito stava conducendo uno studio sulla fauna selvatica. Lì i neonati sono tenuti costantemente avvolti in strati di coperte spesse, legati con lo spago come pacchi postali che vuoi evitare si disfino. Quando un ‘pacco’ mormora, un capezzolo gli appare improvvisamente in bocca. I bambini non vengono cambiati molto spesso, e mai aiutati a fare il ruttino. Non vi sono neanche mani libere nelle quali infilare un sonaglio. Assolutamente non vengono mai messi a pancia sotto. I piccoli restano avvolti per almeno tre mesi e ogni volta che emettono un vagito vengono allattati. Interessante. A tre mesi i neonati canadesi hanno già impegni sociali, persino il nuoto. Alcuni imparano a calmarsi da soli. Io avevo dato per scontato che vi fossero varie ragioni per le quali un bimbo può piangere, e che il mio lavoro fosse di capire quale fosse la ragione e trovare una soluzione appropriata. Ma in Mongolia, nonostante i bambini possano piangere per varie ragioni, c’è sempre solo una soluzione: l’allattamento. Mi accinsi allo scopo e seguii l’esempio.

allattamento.

UNA POPPA ALL’OPERA CAMMINA PER STRADA


In Canada c’è ancora una certa dose di misticismo attorno all’allattamento. Ma la verità è che semplicemente non ci siamo molto abituati. Si allatta a casa, nei gruppi per bambini, occasionalmente nei caffè, raramente lo si vede fare in pubblico e di sicuro non ricordiamo consapevolmente di essere stati allattati a nostra volta. Questa attività privata fra la mamma ed il bambino è accolta in silenzio distogliendo cortesemente lo sguardo e trattata quasi alla stregua degli scambi di effusioni di coppia in pubblico: senza tabù ma con lieve imbarazzo ed educata indifferenza. E quando quel tranquillo, angelico neonato si trasforma in un vivace bambino ai primi passi intento a lasciare che il mondo sappia esattamente cosa sta facendo, beh, quegli sguardi sono distolti un po’ più velocemente e intenzionalmente, alcune volte con cipiglio contrariato.
In Mongolia, invece che relegarmi alla sezione ‘per sole mamme’, l’allattamento in pubblico mi ha decisamente portata al centro dell’attenzione. La loro pratica generalizzata di allattare ovunque, in qualunque momento, e il modo di vivere a stretto contatto della maggior parte dei Mongoli, implica che tutti abbiano sufficiente familiarità con la vista di una poppa all’opera. Loro erano contenti di vedere che io allattassi alla loro maniera (che era ovviamente quella giusta).
Quando allattavo nel parco, le nonne mi intrattenevano con le storie delle dozzine di bambini cui avevano dato da mangiare. Quando allattavo nel sedile posteriore dei taxi, gli autisti mi facevano segno con il pollice in su nello specchietto retrovisore a mi assicuravano che Calum sarebbe diventato un grande lottatore. Quando camminavo al mercato tenendo fra le braccia il bambino che mangiava , i venditori mi facevano spazio nei loro banchi e gli dicevano di finire di bere. Invece di guardare dall’altra parte, le persone si chinavano e baciavano Calum sulla guancia. Se lui si staccava in risposta all’attenzione e lasciava in bella vista il seno che grondava, non battevano ciglio. Nessuno mi fissava, nessuno guardava dall’altra parte, semplicemente ridevano e si asciugavano il latte dal naso.
Dal momento in cui Calum ebbe 4 mesi e fino a che ebbe 3 anni, dovunque andassi, sentivo sempre la stessa cosa: “L’allattamento è la cosa migliore per il tuo bambino, la migliore per te”. La costante approvazione mi faceva sentire che stavo facendo qualcosa di notevole che importava a tutti, esattamente il tipo di pubblico consenso di cui tutte le madri hanno bisogno.

 

allattamento.

 

L’ARMA SEGRETA DELLA MAMMA PIGRA


Quando Calum ebbe due anni, mi ero pienamente resa conto di quanto utile potesse essere l’allattamento. Niente fa addormentare un bambino più velocemente, libera dalla noia di un lungo viaggio in macchina, o calma una sfuriata così repentinamente come un po’ di latte caldo della mamma. E’ l’aiuto più efficace per una madre pigra, e in quel momento pensavo di utilizzarlo al massimo. Ma i Mongoli mi fecero fare un passo ulteriore.
Durante gli inverni in Mongolia, passai molti pomeriggi nella tenda della mia amica Tsetsgee, sfuggendo l’intenso freddo esterno. Fu illuminante confrontare i nostri diversi metodi educativi. Tutte le volte che scoppiava un litigio per i giocattoli tra i nostri piccoli di 2 anni, la mia prima reazione era di cercare di ristabilire la pace distraendo Calum con un altro giocattolo, spiegandogli i principi della condivisione. Ma questo richiedeva qualche minuto di tempo e aveva una possibilità di successo solamente di circa il 50%. Le altre volte, quando Calum non sembrava volersi calmare e la sua frustrazione saliva al massimo, lo prendevo in braccio e me lo mettevo al seno per una poppata.
Tsetsgee aveva un approccio differente. Al primo mormorio di discordia, si alzava la camicia e cominciava scuotere i seni con entusiasmo, gridando, “Vieni bambino, guarda cosa ha mamma per te!” Suo figlio distoglieva lo sguardo dai giocattoli per inquadrare i seni della madre e immancabilmente le trotterellava incontro.
Grado di successo? 100%
Per non essere da meno, io adottai la stessa strategia. Eccoci qua, due madri sventolanti il proprio seno come spogliarelliste in competizione nell’intento di attirare un cliente. Se i nonni erano in giro, anche loro entravano in scena. I poveri bambini non sapevano dove guardare, la rassicurante pienezza del seno delle proprie mamme, la frittella avvizzita della nonna in ostentazione della sua lunga esperienza, o la strana collinetta di carne che il nonno strizzava a mò di seno. Per quanto ci provi, non riesco ad immaginare una simile scena a un incontro della Leche League.

QUANDO CAMMINANO E PARLANO…..E QUANDO DANNO GLI ESAMI?


Al corso di accompagnamento alla nascita in una piccola città del Canada, dove Calum è nato, l’allattamento fu introdotto con un video che mostrava una mamma svedese dal look particolarmente sportivo che allattava il suo bambino sui campi da sci. Un brivido corse nel gruppo: “Sicuramente è fantastico per i neonati, ma quando questi camminano e parlano…?” Questa era più o meno l’opinione generale. Io rimasi della mia opinione.
Fui poi sorpresa a mia volta quando una delle mie nuove amiche mongole mi raccontò di essere stata allattata fino a 9 anni. Rimasi talmente sbalordita che all’inizio la presi come uno scherzo. Considerando che mio figlio ha smesso di prendere il latte subito dopo i 4 anni, ora mi sento un po’ in imbarazzo rispetto alla mia irremovibile incredulità. Anche se a 9 anni è piuttosto tardi per essere allattati anche per gli standard mongoli, non è in effetti fuori scala.
Nonostante non fosse sempre semplice discutere approfonditamente con i Mongoli di concetti come l’auto-svezzamento, data la barriera linguistica, allattare ‘a termine’ sembrava la norma. Non ho mai incontrato nessuno che allattasse in tandem, e la cosa mi sorprese, ma dal momento che gli intervalli tra le nascite sono piuttosto lunghi, molti bambini smettevano di essere allattati tra i 2 e i 4 anni.
Nel 2005, secondo l’Unicef, l’82% dei bimbi in Mongolia continuava ad essere allattato tra i 12 e i 15 mesi, il 65% dai 20 ai 23 mesi. Sembra che l’ultimogenito di una madre continui semplicemente a farlo , da cui l’allattamento fino ai 9 anni, e se la saggezza popolare non mente, la fama della Mongolia per la lotta.
Quando Calum aveva 3 anni e ancora continuava a prendere il latte con l’entusiasmo di un neonato e io mi domandavo quando avrebbe smesso, fui curiosa riguardo a cosa spingeva i bambini mongoli a smettere da soli. Alcune madri dicevano che i loro bambini avevano semplicemente perso interesse. Altre mi dissero che la pressione dei compagni aveva giocato un ruolo. (Io ho sentito i teenager mongoli prendersi in giro l’un l’altro con "Vuoi ancora il seno di mamma!” così come i bambini canadesi dicono “Piagnone!”). Sempre più spesso gli impegni di lavoro portano allo svezzamento molto prima di quando altrimenti sarebbe avvenuto; i bambini passano l’estate in campagna mentre le madri restano in città al lavorare, e durante questa lunga separazione il latte se ne va. La mia amica Buana, ora di 20 anni, mi raccontò la sua gloriosa esperienza di allattamento: “Io sono cresciuta in una tenda fuori in campagna. Mia mamma mi ha sempre detto di bere, che era bene per me. Io pensai che farlo fosse normale per qualsiasi bambina di 9 anni. Quando andai a scuola smisi.” Mi guardò con uno scintillio birichino negli occhi. “Ma ancora mi piace berlo ogni tanto”.

IL LATTE, PREGO


Immaginavo lo svezzamento come un evento piuttosto definito. Mi sono sempre aspettata che ad un certo punto, le poppate sarebbero diminuite fino ad interrompersi del tutto. Non avrei più avuto latte e sarebbe finita lì. Bar chiuso.
In Mongolia, non accade così. Parlando di allattamento con la mia amica Naara, le chiesi quando avesse smesso di prendere il latte sua figlia, che allora aveva 6 anni. “A 4 anni” mi disse “ero triste ma non volle più poppare”. Poi Naara mi raccontò che proprio la settimana prima, quando sua figlia era ritornata da una lunga permanenza in campagna con i nonni e le aveva chiesto di poppare, lei l’aveva accontentata. “Credo che le fossi mancata troppo” disse “ed è stato bello. Ovviamente non avevo latte, ma non le è importato”.
Ma se essere svezzati vuol dire non bere più latte materno, allora i Mongoli non lo sono davvero mai, e questo fu quello che mi meravigliò di più a proposito dell’allattamento in Mongolia. Se i seni di una donna sono pieni e il suo bambino non è nei paraggi, questa se ne va semplicemente in giro e chiede a un componente della famiglia, di qualunque età o sesso, se ne voglia un sorso. Spesso una donna ne spreme una scodella per suo marito come sorpresa, o ne lascia un po’ nel frigo a disposizione di chi lo desideri.
Tutte noi abbiamo assaggiato il nostro stesso latte, datone un po’ ai nostri compagni da provare, e forse usatone un po’ d’emergenza nel caffè - vero? – però non credo che molti di noi l’abbiano bevuto spesso. Ma ogni mongolo a cui ho chiesto mi ha detto, uomo e donna, di apprezzare il latte materno. Il valore del latte materno è così celebrato, così saldamente ancorato alla loro cultura, che non è considerato qualcosa solo per bambini. Il latte materno è comunemente usato in medicina, dato agli anziani come ‘toccasana’, per curare infezioni agli occhi, così come (riporto fedelmente) per rendere il bianco degli occhi ancora più bianco e il marrone dell’iride ancora più profondo.
Ma principalmente io credo che i mongoli bevano il latte materno perché a loro piace il sapore. Una mia amica occidentale che si tirava il latte al lavoro e lo lasciava in una bottiglia nel frigo dell’ufficio un giorno l’ha trovata mezza vuota. Si mise a ridere “Solo in Mongolia potrei sospettare che i miei colleghi abbiano bevuto il mio latte!”.
Vivere in un'altra cultura ti induce sempre a rivalutare la tua. Io non so come sarebbe stato allattare mio figlio in Canada nei primi anni di vita. La valanga di risposte positive all’allattamento che ricevetti in Mongolia, e la totale accettazione dei mongoli dell’allattamento in pubblico, semplicemente mi stupirono, e mi diedero la libertà di far crescere mio figlio in un modo che io sentivo naturale. Ma oltre a tutte le piccole differenze nei nostri modi di allattare, i dettagli su quanto a lungo e quante volte, finii per sentire che vi era un divario ancora più grande nei rispettivi approcci alla genitorialità.
Nel Nord America, diamo così tanta importanza all’indipendenza che questo pervade qualunque cosa facciamo. Tutti i discorsi vertono su cosa il proprio bambino mangi ora, e quante poppate fa. Anche se tu non sei il tipo che fa queste domande, è difficile eludere il loro impatto. E ci sono oggi in vendita così tanti oggetti studiati per aiutare i figli a trastullarsi da soli senza aver bisogno di te, che il messaggio è chiaro. Ma in Mongolia, l’allattamento non vuol dire dipendenza, e lo svezzamento non è il traguardo. Loro sanno che i figli cresceranno, infatti la media dei bambini mongoli di 5 anni è molto più indipendente del suo corrispettivo in occidente, allattato o no. Non vi è nessuna fretta di svezzarli.
Probabilmente la cosa più importante dell’aver cresciuto mio figlio in Mongolia è stata realizzare che esistono milioni differenti di modi di fare le cose, e che io potevo sceglierne uno qualsiasi. Per tutto il percorso di allattamento di mio figlio, mi sono posta molte questioni, e ho accettato e scartato molte idee e pratiche, nella ricerca di forgiare un mio stile personale. Sono felice di aver allattato Calum come e quanto ho fatto – che alla fine è stato per 4 anni. Penso che l’allattamento sia stata la cosa migliore per mio figlio, e che avrà un impatto duraturo sulla sua personalità e sul nostro rapporto.
E quando vincerà la medaglia olimpica di lotta, mi aspetterò un ringraziamento.

Note
1. UNICEF Childinfo, "Monitoring the Situation of Children and Women: Infant and Young Child Feeding (2000-2007)" (January 2009):www.childinfo.orglbreastfeeding_countrydata.php

Ruth Kamnitzer ha vissuto in una tenda tradizionale di feltro nella campagna mongola per tre anni mentre suo marito Steve conduceva uno studio sul gatto di Pallas dell’Asia Centrale. Ha un MSC (Master of Science) in ‘Biodiversity Conservation’ e attualmente vive a Bristol con Steve a Calum.

da‘Mothering magazine’ n.155 del Luglio/Agosto 2009
http://drmomma.blogspot.com/2009_08_01_archive.html

 

Era il lontano 1979, quando, in previsione di sposarmi, decisi di ristrutturare il vecchio solaio situato all’ultimo piano della mia abitazione: un luogo dove un tempo ci mettevano a salare i prosciutti e i salami e dove, in una stanza riservata e inaccessibile, l’unica ermeticamente chiusa da una porta, mio padre custodiva gelosamente l’aceto balsamico.

botti-di-aceto.

Il solaio era:

- ben arieggiato (due finestre per ambiente, anche se non molto grandi),
- luminoso,
- molto caldo, perché niente lo isolava dal tetto,
- appositamente non tinteggiato.

Se poi si tiene conto che il pavimento era in cemento, si può capire che ai miei occhi quello apparisse come un appartamento ancora da finire di costruire.

Cauta e guardinga, decisi di sgombrare, durante le vacanze estive, quegli ambienti pieni di polvere e di ricordi, anche se preziosi solo al mio cuore: specchi, candelieri, angoliere e comò antichi, che ora, fatti ripulire, troneggiano spavaldi fra quelle mura.
casetta. L’ira di mio padre, alle grandi manovre, non tardò a manifestarsi, ma dopo alcune battaglie, arrivammo a un compromesso: l’appartamento l’avremmo potuto ristrutturare, ma…… dovevo lasciare un ambiente a sud-ovest completamente a sua disposizione per l’aceto balsamico.

Unica concessione: potevamo far sistemare il pavimento e tinteggiare le pareti a calce. Niente di più! Quante storie per sei barilotti d’aceto nero, sporchi ma profumatissimi! Quella stanza, ad essi adibita, ci avrebbe fatto molto comodo, ma pazienza….

Ogni anno, bussando alla mia porta, mio padre appariva con damigiane di mosto cotto, secchi di diverse dimensioni, tubi di gomma, un particolare strumento per prelevare l’aceto dai barili, che lui chiamava sasso e poche bottiglie da riempire. Quando se ne andava (ricordo che toglieva perfino la porta dai cardini per poter lavorare con più spazio), era tanto lo sporco che vedevo, che mi faceva dimenticare la causa di quell’ aroma, così dolce che i nostri ospiti, varcando la soglia di casa, esclamavano: ‘Ma che buon profumo! Che cosa nascondete in questo appartamento da bomboniera?’’ Ho sentito spesso questa espressione, forse perché il mio appartamento è inusualmente basso o forse perché è arredato da tante cose antiche, anche se non preziose, arricchite da fiocchi, nastri e pizzi della nonna, o forse anche proprio grazie a quel dolcissimo profumo che filtra da quella porta sempre chiusa in fondo al corridoio. Il primo impatto, arrivando su da noi, era giudicato gradevolissimo.

Capisco ora mio padre quando, una volta all’anno, in ottobre, mi invitava ad accompagnarlo in furgone da un suo amico fidato, un contadino di CASTELVETRO, che gli procurava alcuni quintali di uva bianca dolcissima (imparai più tardi che si trattava di TREBBIANO), che lui mostava di persona nella nostra cantina la sera stessa. In quell’occasione tutti eravamo all’opera: anche i generi, sbuffaBotte anticando, davano una mano per sollevare quelle casse di legno pesantissime. Mia madre entrava in scena il giorno dopo quando doveva fare bollire piano, pianissimo il MOSTO, fino a ridurlo quasi della metà, dentro a una caldaia di rame sopra un fuoco alimentato a legna a cielo aperto. Era veramente un rito, nessuno poteva distrarla dal doppio impegno di fare fuoco lentamente e schiumare quel liquido bollente. Quel giorno toccava a noi figlie stare ai fornelli, perché lei ‘’non poteva assolutamente abbandonare al fugoun !
Talvolta mio padre cercava di coinvolgermi in tutte quelle manovre, ma capivo che l’idea di tramandarmi tutti quei segreti non lo convinceva del tutto. Vedevo bene però quanto amasse l’ACETO BALSAMICO, sia in tavola (dalla quale era assolutamente bandito l’aceto di vino), sia, soprattutto, nell’arte di produrlo.

Ricordo la sua felicità il giorno in cui un amico gli regalò un barile quasi centenario, ma anche la sua preoccupazione nello scoprire una perdita in una botticella. Corse subito ai ripari portandola da un bottaio, giacché riteneva che fosse buona cosa farla ricoprire. Tutto questo continuò per quindici anni, finché un’ improvvisa malattia lo costrinse lungamente a letto e non gli permise più di occuparsi del suo aceto. Tutti pensavamo a lui e qualche volta ai suoi barili abbandonati alla loro sorte. Nessuno osava toccarli: ci illudevamo che ci avrebbe pensato lui, una volta che fosse guarito.

Ora ho deciso di prendere in mano io la conduzione di questa piccola acetaia. A novembre ho chiesto consulenza a un vecchio amico di mio padre, ma i suoi consigli non mi hanno completamente soddisfatto. Allora ho pensato di affidarmi a dei maestri competenti. Ho pronto , in sei piccoli vasetti, un campione per ogni barile. Mi angoscia però l’idea di doverli consegnare in Consorteria e sottoporli al giudizio di esperti, perché temo di sentirmi dire: ‘’qui non c’è niente di buono!’’


Maria Rosa Caselli
Castelnuovo Rangone - MO
9 aprile 1998

 

Nota del curatore: le immagini del racconto si riferiscono alla acetaia cosi’ come e’ oggi. Tuttora Maria Rosa cura con amore le antiche botti del padre ‘’

 

"Ecco due racconti da FANANO nel territorio appenninico Modenese, memorie care che solo i testimoni possono trasmetterci con tutto il loro pathos.
Ringraziamo le autrici Deanna Tagliani e Marta Passini e salutiamo affettuosamente".
Il Circolo Culturale CamminaMente.

Un pomeriggio di ricordi: “piacevole ed emozionante”

 

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Nelle trascorse feste natalizie, ho avuto l’opportunità di partecipare come persona anziana ad un incontro assieme ad amici paesani, anziani, coppie, ed anche ragazzi. Si è svolta nella bella biblioteca scolastica, contornata da scaffali colmi di libri, che rendevano l’ambiante accogliente e caldo. Qual’era lo scopo di tale riunione? Scambiarci ricordi del passato, evidenziando le tradizioni, i Natali d’allora, i numerosi presepi costruiti in casa dai vari componenti, da cui emergevano l’entusiasmo e la creatività nell’adoperare materiali raccolti nei castagneti e nei torrenti.

Le abitazioni si trasformavano in laboratori di falegnameria, di elettricisti, di fabbri, eccetera, e per il più bello c’era in palio un premio. È stato interessante seguire lo scorrere dei ricordi da Gottardo a d Alfonso Pasquali, da definire storico… mancava solo Almo, anch’esso scrittore di bellissimi libri, purtroppo indisposto. Sono fananesi autentici, che amano il loro paese al punto di diventarne personaggi; hanno seguito l’evolversi dei tempi scrivendo, assieme ad altri, libri in cui raccontano le tradizioni, la storia, le guerre, gli avvenimenti e la bellezza di questo nostro territorio. Dalla loro lucida memoria sono uscite fuori zirudelle allegre e simpatiche ( recitate da Gottardo… è il suo forte), che mi hanno riportato ad allora come se fosse oggi: miseria e povertà erano di casa a quei tempi, però vissute con grande dignità. L’attesa del Natale era entusiasmante, soprattutto per i bimbi, desiderosi di un vestito nuovo o di un paio di scarponi, e poi c’era in viaggio la Befana… una bambolina, un quaderno, qualche caramella ed, ai maschietti, un trenino o un’automobilina di latta o poco di più… che gioia! E, persa nei ricordi, il mio sguardo cade sul viso dei miei coetanei ottantenni (o giù di lì), e scorgo la solita nostalgia che ci accomuna, assieme ad una forte emozione. Quanti anni sono trascorsi! Mentre in coloro che non hanno vissuto quegl’anni, noto lo stupore; nei giovani, invece, grandi risate incredule, qualche spallata: si divertono, seguendo lo scorrere dei ricordi.

 

marta.

 

D’improvviso affiora nel mio pensiero… Roberta, mia cognata, nonché brillante ed intelligente maestra, che ci ha lasciato alcuni mesi fa. L’anno scorso occupava anch’essa un posto in prima fila… una forte emozione mi assale e mi porta, d’impulso, a farne partecipi tutti gli altri. Mi basta pronunciare il suo nome, che, immediatamente, si diffonde per la stanza uno scroscio di battimani senza fine, che esprime il tanto affetto di tutti nei confronti della cara, simpatica, intelligente “maestra da 40 anni ed Trentin, ed Fanan”, con le altre frazioni. Grazie Roberta, non ti dimenticheremo mai, specie i tuoi scolari, alcuni dei quali… nonni. Scusate l’interruzione, ma ci stava bene: si ha l’impressione di averla qui con noi. Ritorno in argomento descrivendo la Vigilia di Natale di allora: dalle case escono profumi di cucina funzionante; le castagne cuociono aromatizzate con foglie d’alloro; sul piano della stufa abbrustoliscono bucce di arance e di limoni, che, con l’aggiunta di due mele, formano la ricetta della famosa “turta ed lanser”, povera ma gustosa. Intanto, fanno bella mostra i famosi (anzi, famosissimi!) tortellini confezionati da noi sorelle, che così ben allineati sembrano dei soldatini. Ogni tanto, una manina si allunga per acchiapparne uno e via… in bocca! “… Ehi, ehi! Basta!”, rimproverava una voce: “ li mangeremo domani!”. Ad un tratto, uno scampanio proveniente dal campanile della Parrocchia, ci scuote … invita i paesani a recarsi alla Santa Messa: Gesù Bambino sta per nascere!. Si odono nenie natalizie, che si diffondono ovunque: niente auto, nessun rumore assordante. L’atmosfera è dolce, ovattata… “l’è nàd, l’è nad un bèl bambin… Trullalera”, cantano i bimbi rincorrendosi, mentre la neve scende timidamente, imbiancando il paesaggio. Finita la funzione religiosa, le porte della chiesa si spalancano ed una numerosa folla ne esce, seguita dal profumo d’incenso e dal suono dell’organo: “Tu scendi dalle stelle…”; scambi di auguri, di saluti, di pacche sulle spalle… “Bon Nadàl!” è l’augurio decorrente. La famiglia si ritrova, ed alcuni bimbi si fermano un attimo ad ammirare gli scarponcini nuovi, regalati per l’occasione… che felicità!. E felice torno al presente; sul finire dell’incontro, le brave volontarie ci hanno preparato un buffet: un brindisi ci ha uniti affettuosamente, e nel contempo è comparsa la famosa “turta ed lanser”, alquanto modernizzata. È stata una mia idea, ed ha riscosso tanto successo!. Voleva ricordare la vecchia usanza, ma con moltissimi ingredienti in più, da paragonare alla nostra vita ed al nostro vivere d’oggi che, col passare del tempo, è caratterizzato da tanto benessere in più… più felicità? Non lo so. Colgo l’occasione per ringraziare tutte le persone che hanno programmato ed allestito un così bel pomeriggio: “10 e lode” a Deanna, assieme alle responsabili della biblioteca.

 

...Per chi la desiderasse, vi voglio dare la ricetta della "turta ed lans.
Premetto: niente bilancia, vado "a occhio":

Cuocere castagne secche, precedentemente messe a mollo per rammollirle, aromatizzate con foglie d'alloro.
Preparare un ripieno composto dalle castagne cotte, schiacciate con una forchetta, ed aggiungere arance, mele, pere, alcuni fichi secchi, noci, arachidi, un pugnetto di pinoli, vasetto di mostarda bolognese, anche marmellata casalinga di amarena, susine, uvetta bionda rammollita per alcuni minuti in vino bianco caldo (proibiti i mirtilli!!); spezzettare il tutto volendo, con qualche giro nel frullatore, oppure a mano, ottenendo un ripieno grossolano. Aggiungere una grattugiata di buccia di arancio e limone. La pasta però è la stessa del bensone, ciambella moderna. Due strati sono sufficienti (al massimo tre): l'ultimo strato senza ripieno, solo pasta. Questo ripieno serve per fare anche ottimi scarpaccioli fritti: per questi, la pasta deve essere meta condita, altrimenti risulteranno unti. Possono anche essere cotti al forno.

Un abbraccio a tutti.

Marta Passini

 

 

Fanano 14 novembre 2009 chiesa di San Giuseppe Convegno in ricordo del“ Centenario del disastro della miniera di Cherry in Illinois “ ( 13 novembre 1909 ) .

 

Fanano è stata da sempre una terra di emigranti, nel periodo della cosiddetta “ grande emigrazione “ ( 1876 – 1890 ) e fino al 1920 furono moltissime le persone che a causa delle condizioni di vita miserevoli, lasciarono la loro casa e i loro boschi nell’Appennino per cercare un avvenire migliore per sé e per la propria famiglia in altri paesi, soprattutto all’estero.
Gli Stati Uniti d’America “La Merica “ per gli emigranti, rappresentavano il grande sogno, la possibilità di riscattarsi da una vita grama per cercare un lavoro che permettesse di sopravvivere , di aiutare i propri cari rimasti al paese e forse di poter ritornare un giorno a casa con qualche risparmio. Le storie degli emigranti sono spesso tristi, sono storie di miseria, fame, di speranze, delusioni e amarezze, storie di sogni, di nostalgia e orgoglio per la propria terra, sono storie da non dimenticare.
Fanano, sensibile al fenomeno dell’emigrazione, ha organizzato negli ultimi anni varie manifestazioni riguardanti questo tema, si ricordano i convegni su Felice Pedroni, il nostro emigrante più famoso che nel 1902 scoprì l’oro in Alaska e fondò la città di Fairbanks, con cui il Comune è gemellato da alcuni anni. Il 26 gennaio 2009 si è tenuto il Convegno “ Migranti di ieri e di oggi “ organizzato dalla CLS – CGIL in collaborazione con Emergency , Associazione Rocca di Pace e il Centro Servizi per il volontariato di Modena. Il Comune è anche in contatto con il Centro Internazionale Studi sull’Emigrazione Italiana ( CISEI ) per ricerche e scambi di pubblicazioni.
A Fanano è presente anche un Comitato degli Emigranti, costituitosi nel 1990, sulle ceneri della Società degli Emigranti fondata nel 1874, questa società negli anni ha provveduto prima al restauro poi alla costruzione di una nuova chiesa dedicata alla “ Madonna del Ponte “ loro protettrice; nel 1972 gli stessi emigranti furono promotori del rientro in patria della salma di Felice Pedroni.
La Società curava anche l’organizzazione della “ Festa Triennale degli Emigranti “ che negli anni pian piano è scomparsa fino al 1990, anno in cui è stata ripristinata con l’ inaugurazione di un monumento dedicato a Felice Pedroni e a tutti gli emigranti fananesi nel mondo.

Il Comune, in collaborazione con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e in collaborazione con il Comitato Emigranti “ Madonna del Ponte “ ha voluto organizzare il convegno che si è tenuto il 14 novembre 2009 per ricordare il centenario di un momento tristissimo nella storia della nostra emigrazione quella che è stata definita la grande disgrazia nella miniera di Cherry nello stato dell’Illinois ( USA )
L’episodio accadde il 13 novembre 1909 e costò la vita a 259 minatori: 44 dell’Appennino modenese e bolognese : dodici di Fanano, dieci di Pavullo, sette di Montefiorino, sei di Lizzano in Belvedere, tre di Montese, tre di Sestola, uno di Castelluccio di Bagni della Porretta, uno di Camugnano, e uno di Castel di Casio. La causa della disgrazia di Cherry fu imputata a una leggerezza compiuta da un minatore: alcune gocce di olio di una torcia a cherosene caddero sopra a un carico di fieno destinato ai muli e provocarono un disastroso incendio.

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Vari minatori riuscirono a salvarsi ma la maggior parte perirono tra le fiamme. Venti minatori sopravvissero alcuni giorni al buio nelle gallerie della miniera, senza cibo, senza acqua, dopo otto giorni la proprietà riaprì l’accesso alla miniera e i venti minatori si salvarono, tre erano di Fanano: Giacomo e Salvatore Pigati e Francesco Zanarini.
Uno dei sopravvissuti Antenore Quartaroli emigrato da Boretto in provincia di Reggio Emilia raccontò in un diario i terribili giorni trascorsi all’interno della miniera e quel documento è sconvolgente.
La tragedia creò grande impressione negli Stati Uniti , ma anche in Italia , in particolare nelle zone dell’Appennino modenese e bolognese da dove provenivano tanti tra i minatori periti nel disastro, e contribuì a modificare le leggi sulla sicurezza degli operai nelle miniere.

Il mattino del 14 novembre scorso la splendida chiesa di San Giuseppe era gremita di persone per assistere alla commemorazione del disastro della miniera di Cherry; erano presenti gli studenti delle classi 2^ 3^ della Scuola Secondaria di 1° Grado di Fanano ( ex media ) , i coetanei delle classi di Sestola , i loro docenti, i genitori, il Dirigente Scolastico e numerose autorità. di altri comuni.
Dapprima ha preso la parola il Sindaco, sig. Lorenzo Lugli, che ha salutato e ringraziato i presenti, a seguire il cav. Mario Marescalchi, Presidente del Comitato Emigranti “ Madonna del Ponte “ di Fanano che con commozione ha ricordato ad uno ad uno gli emigranti scomparsi pronunciando i loro nomi. Interessante è stato anche l’intervento del comm, Antonio Parenti della Consulta degli Emiliano Romagnoli nel Mondo.
Gli studenti della classe 3^ C della Scuola Media di Fanano , preparati con notevole competenza dalla prof.ssa Caterina Muzzarelli, hanno rievocato con una rappresentazione in costume, il disastro della miniera: accompagnati da immagini, musiche e dalla voce dei narratori, i ragazzi e le ragazze sono diventati il piccolo gruppo di minatori, che rimasti prigionieri per giorni nelle viscere della terra, cercano disperatamente di salvarsi. Gli studenti hanno espresso con bravura la paura, lo sconforto, l’angoscia, la rassegnazione ed infine l’incredulità dei minatori che sono scampati alla morte.
Particolare emozione è poi stata avvertita da tutti i presenti quando la calda voce di Adelfo Cecchelli, attore di teatro di Gaggio Montano, ha accompagnato gli studenti nella rappresentazione leggendo alcuni brani del diario di Antenore Quartiroli uno dei pochi sopravvissuti. , molto commovente è stata anche la lettura delle poche frasi di addio indirizzate alla sorella Maria da Agramente Fogliani di Fanano, perito nel disastro.

 

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Di grande interesse è stata la proiezione di immagini del tempo di Walter Bellisi, ricercatore storico e scrittore, (famoso è il suo libro “ La valigia di cartone “ sul tema dell’emigrazione ) il documento filmato è il frutto di lunghe e attente ricerche effettuate anche negli Stati Uniti.
In conclusione la prof.ssa Caterina Muzzarelli e Massimo Turchi, scrittore e ricercatore storico fananese,( suo è il libro su Felice Pedroni “ Alla fine dell’arcobaleno” ) hanno presentato il cortometraggio “ La polvere e l’oro !” realizzato sempre dagli studenti della classe 3^C della Scuola Secondaria di Fanano due anni or sono. I ragazzi hanno effettuato un attento lavoro di ricerca e attraverso gli oggetti appartenuti ai loro nonni e ai loro bisnonni hanno rievocato le loro storie di emigrazione in Francia, Belgio, Stati Uniti. Il cortometraggio realizzato in dvd è un documento unico, una memoria storica sui percorsi dei fananesi che le precarie condizioni di vita costrinsero ad emigrare.
Il tema dell’emigrazione è trattato con molta professionalità dai docenti della Scuola Secondaria di 1° Grado di Fanano, gli studenti negli anni hanno partecipato ai convegni su Felice Pedroni , prodotto testi e spettacoli teatrali sulla sua storia, le scuole di Fanano e Fairbanks sono in contatto da tempo e partecipano a progetti comuni.
Nel ricordare la storia della disgrazia di Cherry uno degli obiettivi è stato quello di far conoscere anche alle scolaresche il fenomeno dell’emigrazione dai paesi della montagna nei primi anni del 1900, il contesto sociale in cui si attuò, i problemi della vita difficile degli emigranti, le loro storie, ognuna di queste , indipendentemente dal successo che la vita ha poi riservato all’emigrante nel suo nuovo paese, merita di essere conosciuta e ascoltata con attenzione.
Il successo del convegno testimoniato dall’interesse e dall’entusiasmo suscitato dai presenti ha dimostrato come il fenomeno dell’emigrazione dai paesi del Frignano sia parte della nostra storia e delle nostre radici: molti di noi hanno avuto o hanno ancora parenti che risiedono all’estero, ricordo che io stessa da bambina sentivo spesso parlare dello “zio d’America “ che non si vedeva mai perché viveva lontano lontano, in uno stato dal nome tanto difficile da pronunciare.
L’emigrazione di ieri, inoltre, è ancora estremamente attuale perché legata all’immigrazione di oggi, è una storia che si ripete sotto altre forme e colori, sono sempre storie di partenze e di ritorni, di angoscia e di speranza e di questo fenomeno dobbiamo essere tutti consapevoli.

Deanna Tagliani

 

I Racconti sono tratti dal numero 20 della pubblicazione "Fanano tra storia e Poesia" , per gentile concessione degli stessi autori.

 

Appunti dallo studio dei fiori, Appennino Romagnolo, podere di Remedia, 9 maggio 2010.

tamarice-salmastra. Non c’è fiore che non mi affascini. Ogni essere fiorito è come un richiamo magico, obbligato, impellente. Devo fermarmi, guardarlo, annusarlo, toccarlo, assaggiarlo, parlargli. Sono cresciuta nei campi, ma non basta mai. Ogni stagione è un inizio. Una scoperta, una novità, una magia che si riproduce sempre, a cui non posso sottrarmi, che mi prende per ore e ore, fuori dal tempo. Entro in un mondo silente e parlante allo stesso tempo. Un linguaggio intimo e profondo, nel quale non ci sono pensieri, in cui l’umano tace.


Non esiste un fiore o una pianta preferiti. Ognuno ha da dirmi qualcosa e sempre mi stupisce, aprendomi ogni volta nuove pagine di segreti, un petalo, un sepalo, una foglia, una forma, che non conoscevo ancora, non avevo ancora colto. Qui oggi ci sono milioni e milioni di esseri che sanno di me, del mio passaggio rumoroso, che mi osservano. Loro mi conoscono, io li scopro appena, sono troppi, tanti, il mio occhio non sa metterli tutti a fuoco. Si contenta di pascersi di tutti in una sola volta, come ingordo inghiotte tutto, assorbe tutto. Poi, si permette, ogni tanto, di rigurgitarne uno per ammirarselo tutto, in pace, estatico, come il bove al pascolo che rumina, dopo aver ingerito il prato e ogni suo dono.

Poi il bisogno di portare tutti con me, di portarli in viaggio, di far loro incontrare altri luoghi, altri terreni, soprattutto dove non c’è nulla, affinché colorino il nuovo mondo, portino felicità e vita ovunque, in ogni anfratto solitario o usurpato dall’uomo.
Poi mi metto a studiarli, a conoscerne le radici, scoprendo, spesso con stupore, che piccolissimi esseri, all’apparenza delicati, hanno radici profondissime, arrivano da molto lontano e hanno bucato terreni durissimi per venire alla luce, e sono tremendamente forti, resistenti e prolifici.
Scegliere è difficile, ma una pianta, che qui si è adattata e moltiplicata bene, mi attira, come mi ha sempre attirato fin dalle scuole elementari, quando venne nominata dalle labbra della maestra citando il carme di un famoso poeta italiano Giovanni Pascoli.
Da allora una voglia tremenda di conoscere quegli alberi ‘salmastri’, dall’odore di mare, ondeggianti al vento e alle brezze, resistenti alle tempeste e alle calure.
Oggi li ritrovo qui, nel pieno del loro fiorire ‘’polveroso’’, rosa antico, rosa polvere, che ha un effetto calmante ai miei occhi. Un colore tamarix2cipriato che contro il cielo blu diviene chiarore. Grappoli piumosi su lunghi steli flessuosi, fogliame rado, a stelo, come di piccola conifera, profumo delicato e intenso. Dove il fiore è ancora immaturo il colore è più forte, rosa carneo. Fa pensare alla lingua e alla carne tenera dei bambini, ai polpastrelli dei cuccioli che non hanno ancora toccato la terra e non conoscono i calli.
Viene voglia di metterlo sul cuore, come se potesse prendersene cura e lenire ogni sua pena.
Il vento disperde il profumo. Ma appena si placa, l’aroma diviene intenso, dolce, penetrante, un poco asperulo, erboso.
La guardo questa pianta magnifica e pare un materasso morbido su cui adagiarmi.
Quando si secca ha il profumo delle piume degli uccellini e si trasforma in pallini friabili.
Quella che ho di fronte non è una pianta alta, ma radente verso il suolo a confondersi con il verde delle erbe alte. A mescolarsi con i profumi della terra. Attorno alla madre i figli, numerosi, a un unico stelo, che spuntano ovunque dalla terra. Senso di coralità, condivisione, pur nella indipendenza di ciascuno.tamarix3
Il movimento della pianta mi ricorda una danza.
Ogni stelo porta piccolissimi fiori stellati, a cinque petali e lunghi pistilli leggeri che, nell’insieme, fanno l’effetto di un piumino.
Condivido queste riflessioni con il gruppo e l’insegnante ci spiega che questa pianta antica ha affinità con il sangue e la milza, agisce a livello del midollo osseo e stimola la formazione di globuli rossi e di piastrine. E’ equilibrante per il sistema digestivo e per gli organi di Terra (stomaco milza e pancreas).
Fin dall’antichità si erano scoperte le sue proprietà di assorbire molta acqua, specialmente quella salata e di bonificare i luoghi paludosi, ancorandosi bene al suolo e permettendo il formarsi e il consolidarsi di dune attorno, divenendo così siepe frangivento. In altri luoghi, aiuta a ricucire le ferite del terreno franoso e in movimento. Gli animali al pascolo la prediligono per il suo sapore salato, essendo ricca di minerali preziosi per la loro salute.
Così pensando a lei e alle sue proprietà, con emozione scopro di aver sempre ammirato questa pianta sentendo la sua affinità con la vita e la sua preziosità per favorirla e mantenerla. Ora posso completare la sua visione, poiché è come una femmina che porta in grembo una vita e la nutre e protegge e le permette di materializzarsi, di completarsi. Il suo colore è il colore della vita, del sangue, della carne. Il suo verde tenero è il colore della linfa vitale che scorre nel corpo e partecipa alla sua integrità e immunità. Gli organi che sostiene sono quelli che nella antica medicina orientale sono collegati alla terra e quelli che per primi si formano nel feto.

Scendono il silenzio e la pace dentro di me, sono riconoscente a questo universo saggio e potente, sono consapevole della mia ignoranza, poiché ignoro, ma sono onorata di poter scoprire e conoscere.

Una giornata bellissima………….

sullevettedelcielo.


CONOSCERE LA NOSTRA ANIMA SEPARATAMENTE DALL’IO E’ IL PRIMO PASSO VERSO LA LIBERAZIONE FINALE. NOI DOBBIAMO PERSUADERCI CON ASSOLUTA CERTEZZA CHE ESSENZIALMENTE SIAMO SPIRITO.
E LO POSSIAMO ACQUISTANDO IL DOMINIO SUL NOSTRO IO, INNALZANDOCI AL DI SOPRA DI OGNI SUPERBIA, DESIDERIO O TIMORE, CONSCI CHE LE SVENTURE DI QUESTO MONDO E LA MORTE FISICA NON POSSONO TOGLIERE NULLA ALLA VERITA’ E ALLA GRANDEZZA DELLA NOSTRA ANIMA.
R. TAGORE

17 agosto 2006 … dopo molte ore di agonia si è spento Giovanni e il silenzio è calato su di lui e intorno a noi. Faccio un passo indietro e mi presento: sono un’infermiere e lavoro in un Hospice, dove si fanno cure palliative per i malati oncologici terminali e accompagnamento alla morte. In questi giorni ho avuto la “fortuna” di accompagnare e assistere un ragazzo speciale, Giovanni, terrorizzato all’idea di morire e soffrire perdendo ogni dignità, al punto di crearsi da solo un’alternativa, che nessuno avrebbe potuto dargli…l’eutanasia. Una scelta coraggiosa per un ragazzo che, negli ultimi giorni, mi disse: “non ne avrei mai abbastanza di questa vita!!”, la sua vita. Interminabili chiacchierate sulle sue avventure e sulla nostra passione in comune: la montagna.

Quante volte ha rischiato la vita, perdendo una presa in parete e cadendo per metri e metri, quante volte, voltandosi indietro dopo aver fatto un passaggio pericoloso, ha sorriso allo scampato pericolo. Ma ora si trova lì, costretto nel letto da una terribile malattia che non gli avrebbe concesso una seconda chance: “Avrei preferito cento volte morire in parete, invece eccomi qua inerte e annoiato” Poco tempo fa sono stata iniziata alla pratica del Reiki. Nei giorni successivi all’intenso fine settimana esperienziale ho condiviso con lui questa mia esperienza vissuta con un’altra collega. Inutile dire che lui si è prestato volentieri come “cavia”, incominciando a farci un sacco di domande sul significato di Reiki e cosa per noi significa lavorare con l’energia. Il primo trattamento fatto a quattro mani è stato un’esperienza molto forte e al termine lui ci ha detto questa frase: “mi sento come una vecchia libreria alla quale stanno risistemando i libri!” Sentiva un’giovannienergia nuova scorrergli dentro e lasciandosi andare al nostro tocco, poteva permettersi per un breve periodo di staccare la sua testa da tutti i brutti pensieri che gli affollavano la mente e gli creavano angoscia. Gli ultimi giorni sono stati i più terribili, la paura aveva preso il sopravento fino a provocargli dei veri attacchi di panico, una cosa per lui, abituato ad avere tutto sotto controllo, assolutamente sconosciuta. Abbiamo continuato su sua richiesta a trattarlo e ogni volta la sua sensazione era quella tanto desiderata di rilassamento: un giorno ci disse che, in un’altra vita, sarebbe diventato un adepto del Reiki. Varie volte mi sono chiesta su cosa era meglio concentrarsi durante i trattamenti, ma di fronte a lui, l’immagine più nitida era quella di una mamma che si prepara ad accogliere il suo bambino: una apertura di braccia quasi alare, avvolta da una luce chiarissima. Ed è così che l’ho percepito negli ultimi giorni, un bimbo barbuto e spettinato, con due occhioni grandissimi che esprimevano quello che lui attraverso le parole faceva fatica ed ammettere. Non voleva essere solo al momento della morte e così è stato…c’eravamo noi ad accompagnarlo nella sua lunga notte di agonia e la sua mamma che non ha smesso di accarezzarlo per tutto il tempo. E poi d’improvviso il silenzio e sul volto un’espressione rilassata.. Un giorno mi disse che gli sarebbe piaciuto essere capace di meditare, per poter staccare la spina per un po’, per trovare quel silenzio mentale che gli consentisse di riposare meglio. Gli ho proposto di usare la visualizzazione per poterci riuscire. L’ho guidato su una parete e ho lasciato che lui visualizzasse una scalata, con le varie prese e i passaggi. Un’esperienza profonda, la sua concentrazione era quasi palpabile e il suo viso esprimeva tutta la sua passione per quella vita. Così lo immagino ora, un angelo libero di scalare le vette del cielo, libero dal dolore e dalla sofferenza, capace di far fluire tutta l’energia incarceratagli dal male. E come ho detto a lui una settimana prima che morisse, solo attraverso questa immagine sarò in grado di lenire la tristezza che mi attanaglia al suo pensiero.. Grazie gio..

 

Barbara Bertaina

 

neve. Salve a tutti, mi chiamo Gilberto, ed oggi vorrei raccontarvi la storia di Neve.

In realtà la “Storia di Neve” non è altro che il titolo dell’ultimo libro di Mauro Corona, quindi non la posso raccontare io avendolo già fatto lui con il suo romanzo.

Premetto che conosco Corona da molti anni, da quando è diventato famoso nel mondo dell’arrampicata e le sue imprese echeggiano su riviste specializzate o in ritrovi d’altrettanti alpinisti famosi. Scoprirlo poi scultore mi ha fatto molto piacere, in effetti arrampicare è un’arte come scolpire, anche se non sempre le sue opere hanno incontrato i miei favori, ma, non essendo io un critico, un gallerista, un intenditore, il mio giudizio lascia un po’ il tempo che trova. Ho provato una sana e tremenda invidia nei suoi confronti essendo io un appassionato di montagna ed avendo, tra i tanti sogni, quello di diventare scultore ma, non essendone capace, preferisco sognare guardando le opere di altri.

Alcuni anni fa, entrando in libreria, scoprii che era anche diventato scrittore e qui mi arrabbiai molto: ‘guarda un po’ che questo montanaro ora ha anche la presunzione di scrivere’, penso, ‘chissà cosa avrà mai da dire uno come lui’. Non prendo neanche in mano il libro e continuo per i fatti miei anche negli anni a seguire, quando Corona diventa famoso come scrittore al grande pubblico e vende talmente tanti libri da far ingelosire i suoi ben più famosi e decantati colleghi di penna.

Questa estate in vacanza mi decido ed acquisto “Le Voci dei Boschi”, (arrivato ormai alla 26ma ristampa), lo leggo in poche ore e penso: ‘però questo Corona mica male!!’

Il giorno successivo acquisto ‘’Cani, camosci, cuculi (e un corvo)’’. Lo leggo tutto d’un fiato e, con un’invidia doppia a quella provata quando imparai che era diventato scultore, dissi: ‘però questo Corona mica male!!’. Ma poi rifletto un po’ e penso anche che i suoi libri sono tutti uguali e che ormai mi ha rotto le palle.

Circa un mese fa vedo il famoso scrittore, intervistato in un noto programma televisivo, mentre pubblicizza la sua ultima fatica letteraria dal titolo “Storia di Neve”. Mi riprometto di non leggerlo mai, ma, dopo alcuni giorni, mi ritrovo sdraiato sul divano di casa a leggere le avventure tragicomiche degli abitanti di un paese sperduto e dimenticato da Dio.

 

“Storia di Neve” è un romanzo ambientato ad Erto, (paese dove vive e lavora Mauro Corona, reso tristemente famoso dalla tragedia del Vajont), durante gli anni tra le due grandi guerre del secolo scorso. E’ la storia di una strana bambina, Neve appunto, che vive tra amore e dolore la sua breve vita gestita da un padre che forse non si dovrebbe neanche chiamare in questo modo tanta è la cattiveria che emana gratuitamente. Il racconto a tratti è duro, anzi durissimo, ma spesso non mancano spunti comici che bilanciano la pesantezza, a volte per me insostenibile, tanto da pensare di mollare tutto, che non abbia senso continuare, che il libro non abbia più niente da dire.

Poi, all’improvviso, come capita nei libri più interessanti e nei films più intriganti, cambia lo scenario, si ravviva l’interesse ed il cuore aumenta i battiti.

Da questo punto in poi non sono più riuscito a staccarmi da questa ‘maledetta storia’, anche perché il dolore, la rabbia, e la stupidità umana lasciano il posto all’Amore.

Diventa una vera e propria storia d’Amore, di quelle che piacciono a me, di quelle che provo piacere a commuovermi, di quelle che non mi fanno vergognare anche se piango. La bestia umana si trasforma, i mostri che abbiamo dentro (come cantava Giorgio Gaber) lasciano per un attimo il posto alla luce, quella luce che spero di vedere ogni mattina quando apro gli occhi, quando incontro le persone per strada, quella luce che non riesco quasi mai a vedere.neve

La trasformazione è inconfutabile, non ci si può opporre. Dobbiamo solo saper cogliere. Cogliere l’attimo.

Mi chiedo spesso (riuscendo con difficoltà a darmi una risposta) perché sia così difficile vivere d’Amore e di luce, perché Neve prima di arrivare all’epilogo debba soffrire in quel modo. L’Amore non dovrebbe essere a disposizione di tutti ed in qualsiasi momento? Perché non possiamo andare al supermercato ed ordinare 2 etti di Amore, crudo o cotto non importa? E’ così improbabile? Forse una risposta la potrei trovare nella “fede”, quella che non ho mai trovato e forse neanche abbastanza cercato nella mia vita.

Il libro è commovente, comico, doloroso e lo consiglio a tutti (bambini e donne in stato interessante escluse). Ovviamente faccio i miei complimenti a Mauro Corona per il romanzo che ha scritto e lo esorto a continuare a farlo, nella speranza che mi emozioni ancora, com’è successo quando ha raccontato l’ultimo incontro tra Neve e Valentino, che non vi voglio raccontare perché spero lo facciate voi che mi leggete. Sarebbe come raccontare un film giallo iniziando dalla fine.

 

Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggermi. Certamente nessuno ha l’obbligo di acquistare il romanzo, ma, per chi volesse farlo o per chi l’avesse già letto, sono disponibile per dialogare e confrontarmi. Per quelli che non fossero d’accordo con me, rimango ugualmente disponibile. Critiche e consigli sono sempre ben accetti.

 

Un saluto di… Neve.

 

Gilberto Rossi

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quadro. Si racconta che una volta, tanto tempo fa, tutti i sentimenti, le qualita' e i difetti dell'uomo si riunirono. Dopo che la Noia aveva sbadigliato per l'ennesima volta la Pazzia propose di andare a giocare a nascondino.La curiosita' chiese: -A nascondino? Come si fa? - E' un gioco, spiego' la Follia, io mi copro gli occhi e incomincio a contare fino a un milione. Voi intanto Vi nascondete e quando non c'e' piu' nessuno in giro e io ho finito di contare, il primo di Voi che trovo rimane al mio posto a fare la guardia per continuare il gioco. L'Entusiasmo ballo' seguito dall' Euforia, dall'Allegria e fece tanti salti che fini' per convincere il Dubbio e l'Apatia, la quale non aveva mai voglia di fare nulla. Ma non tutti vollero partecipare... la Verita' preferi' non nascondersi; la superbia disse che era un gioco molto sciocco e la Codardia preferi' non rischiare.- Uno, due, tre... -incomincio' a contare la Follia. La prima a nascondersi fu la Pigrizia, che si nascose dietro la prima pietra del cammino.

  

La Fede sali' in cielo e la Invidia si nascose dietro l' ombra del Trionfo che era riuscito a salire in cima all' albero piu' alto. La Generosita' invece non riusciva a nascondersi, ogni posto che trovava lo lasciava ai suoi amici. Un lago cristallino? Ideale per la Bellezza, Un cespuglio? Perfetto per la Timidezza, Un soffio di vento? Giusto per la Liberta'. Finche'la Generosita' decise di nascondersi dietro un raggio di sole. L'Egoismo invece si prese subito il posto migliore e superconfortevole, tutto per lui. La Bugia si nascose... veramente non si sa dove, la Passione e il Desiderio si nascosero nel centro di un vulcano. La Dimenticanza... non ce lo ricordiamo ! Quando la Follia arrivo' a contare fino a 999.999, l' Amore ancora non aveva trovato un luogo per nascondersi, perche' erano tutti occupati. Alla fine vide un roseto e decise di nascondersi li', fra le bellissime rose.- Un milione!!!- disse la Follia che inizio' a cercare. La prima a farsi scoprire fu la Pigrizia. Poi la Fede, poi la Passione e il Desiderio, che aveva sentito vibrare dentro il vulcano. Trovo' poi l'Invidia che si era nascosta dove stava il trionfo. Camminando, vicino al lago trovo' la Bellezza; poi il Dubbio, il quale non aveva ancora deciso dove nascondersi.Eppoi uno dopo l'altro incontro' tutti gli altri, tranne l' Amore. La Follia inizio' a cercarlo dietro a ogni albero, sotto il ruscello, in cima alla montagna... e quando fu al punto di darsi per vinta, vide il roseto e inizio' a muovere i rami, quando allo improvviso si senti' un doloroso grido. Le spine avevano ferito negli occhi l'Amore! La Follia non seppe cosa fare e come chiedergli scusa. Pianse, prego', imploro' e chiese perdono. Da allora, da quando per la prima volta sulla terra si gioco' a nascondino: l'Amore fu cieco e la Follia non lo lascio' mai piu'.

 

 

 

''Abbiamo letto questo articolo di ...Roberto Delpiano

de 'la cultura del cibo'   e ci ha talmente divertiti che volevamo farvene partecipi.

I commenti sono ben graditi!''

 

Esperienze di un ex capellone rockettaro, musicista casinaro nel mondo della Generazione Canale 5

 

Tutti dovrebbero farlo, una volta nella loro vita, per capire e vedere, sapere. Knowledge, truth, wisdom, that's about it. Mi scuso se questo articolo potrà essere un poco scoordinato, ma sono ancora scosso.
Tutti, dovrebbero, dicevo, provare il polletto piccante, con le patate fritte, ed aperitivo di noccioline che poi si buttano le bucce per terra e poco alla volta diventano quasi un tappeto, ed  accompagnamento musicale tekno, de gustibus non est disputandum.
polloarrostoIl Luogo, i Fatti, il Cibo
BEFeD - Brew Pub
Via Ariosto, 36 bis - Settimo Torinese (TO) - Tel 011-8015392
È inutile che andiate sul sito, non è ancora attivo.

Altro non poteva essere che un posto che vuole essere il più straniero possibile, nel cuore della patania dove tra un po' si insegnerà (presumo) il piemontese verace. Se quello delle Langhe o l'Astigiano stretto, non so.
Il pollo effettivamente non è male, sicuramente il cardiologo che mi ha consigliato una vita più moderata avrebbe qualcosa da ridire, ma è buono davvero, non tanto piccante, però, io sono abituato alla cucina indiana e quella messicana. Eccellenti le patate, troppe forse per chi ha viaggiato e lavorato per 18 ore consecutive oggi. Birra abbondante e buona in caraffone da 2 litri. Fin qui tutto bene dal punto di vista alimentare.

L'Ambiente, la Musica e l'Animazione
Per quanto riguarda l'ambiente, devo riconoscere che sono rimasto un poco sconcertato. Uno dei miei sensi, l'udito per l'appunto, che è passato indenne da anni di Rock duro, appiccicato a "stage amplifiers" di wattaggio a 4 cifre, non ce l'ha fatta. E io che credevo di essere già passato di là.


NO INVECE. Il BEFeD è una catena di simil-birrerie sparse per tutta Italia, con un nome che qualche "pubblicitario" o "comunicatore" di paese si è inventato, volendo presumibilmente significare: "be fed" = essere nutrito/i tradotto nella lingua di Dante, giocando abilmente (credo io, eh!) sullo scherzo Bef-Beef, quello dei Beefeaters, mangiatori di carne di manzo.
Insomma, nome carino, kitch, paesanotto.

Ma il volume della musica, oh gente, quello mai più potrò dimenticare. Nel locale urlano, ululano sciami di veline in vestitini da simil-troie (per carità, una gratificazione per gli occhi …), e ragazzotti il cui papà, indubbiamente, paga tutto.
E noi lì, lavoratori stanchi. Io ed alcuni colleghi e capi, una giornata lunga ed intensa, tanti Km in autostrada, riunioni, fotografie.
E sui tavoli, sulle sedie, tutti gli integranti di questo "spettacolo", ad ululare canzoni (complimenti all'impianto di diffusione sonora, perlomeno il suono non era distorto, a quei volumi non è facile) e tanto impatto sonoro giuro che non ho sperimentato neanche al Carnevale di Rio, dentro al Sambodromo, culo a culo con la "Bateria da Mangueira", 300 integranti che battevano come forsennati sui rispettivi strumenti  e poi il TIR di amplificazione, più gli enormi amplificatori a bordo sfilata, senza contare un 50.000 persone sugli spalti a cantare il samba … E in quanto a volume i Brasiliani ci sanno fare, vedere per credere.

Ma qui è di più, molto di più. La musica tekno martella, neanche ad Abu Graib o a Guantanamo possono umanamente avere raggiunto tali livelli.
Mi dicono che prima delle 23:00 è meglio, però, meno male.
E le canzoni, OhMyGod, tutto il repertorio di "Indietro Tutta" rifatto in versione tekno. WOW. La Generazione Canale 5 al completo, similveline che cercano di dare "o golpe da boceta" e tronisti che agitano quasi a ritmo i braccini non muscolosi per impressionare le suddette sperando di non andare in bianco. Crisis, what Crisis?
E poi finalmente l'apoteosi, tutti su tavoli e sedie, fortunatamente massicci, legno pieno come si conviene, a cantare "Uaai Em Ci Ei!" a urlare, ululare, e dato il volume di fondo, a malapena si riuscivano a sentire le loro forti voci di ventenni non coinvolti dal processo distruttivo della società odierna, tanto era alto il volume, tutto con pesantissimo ritmo tekno, YMCA!

Un delirio, dunque, sogno o son desto? Il mio sguardo girava per il salone, sotto le gonne inguinali, sui tavoli ingombri di bottiglie di acqua con le bollicine e bucce di noccioline, sulle sedie contro le finestre (doppi vetri spero) e mi sembrava di essere in un sogno, un film malriuscito di Kurosawa coprodotto con Tarantino (Quentin), e lì sono crollato, e sono uscito.
Pollopatatinebirra me li ero già ingollati stile "sono mesi che non mangio" ed ho lasciato il puttanodromo di vergini Ferrarelle, portando quel poco che rimaneva del mio sistema auditivo all'aperto.

Per finire
Una chicca antropologica: mentre mi trovavo vicino all'ingresso in attesa dei colleghi che non erano riusciti a scamparla così rapidamente, è arrivato un tipo, 50+, completo grigio senza cravatta, capello imbiancato tagliato serio, aria rabbuiata, È entrato svelto ed uscito dopo 5 minuti, forse meno, con aria ancora più scura. Mezzanotte circa, cercava forse la sua velin-figlia?
Probabile ;-)

Voi fate come volete, avvisare vi ho avvisati, io ho ancora gli incubi adesso.

di Roberto Delpiano

 

 

 

spigolino. Le storie e le tradizioni di questo nostro appennino sono tante, io vorrei raccontarvi di una di queste che si svolge sul Monte Spigolino (1827 slm), e a cui ho partecipato questa estate.

Il monte Spigolino così denominato nella carta disegnata nel 1746 dall'abate Domenico Vandelli . E’ Una delle principali cime del crinale principale dell’Appennino Tosco Emiliano, compresa tra i passi della Calanca e della Croce Arcana, il confine naturale tra le province di Modena e Pistoia.

E’ qui sopra che si svolge tutti gli anni da circa 20 anni, una messa alle 22 di sera, offerta in commemorazione dei defunti di Fanano. L’origine di questa tradizione si fa risalire all’opera di Remo Turchi (Amici della Montagna) il barbiere di Fanano. Si sa che barbieri e parrucchiere sono un po i nostri confidenti, niente di meglio di una bella chiacchierata mentre ci si fa sistemare barba e capelli; e appunto in occasione della morte di un componente di questa compagnia, Remo propose di celebrare la funzione religiosa sul Monte Spigolino. Tutti i componenti del gruppo collaborarono ad innalzare la grande croce di legno e a portare, con grande fatica, la pietra che serve da altare.

croce-in-vetta

La data non e’ mai la stessa, deve essere una notte di luna piena e deve sorgere dalla cima dello Spigolino per illuminare adeguatamente il luogo. Nelle serate poi particolarmente limpide da questa cima, è possibile vedere il Mar Tirreno e la costa versiliese con le barche illuminate e le principali città toscane ed emiliane.

 

Ero incuriosita da questa tradizione e quest’anno ho deciso di andare anche io, e così il 7/8/2009 è arrivato il mio momento.

Sono partita presto da Lama Mocogno alla volta di Fanano dove restero’ 2 giorni, per assistere alla funzione e passare una notte nel casello nel bosco.

milva. La giornata con la mia famiglia passa velocemente e gradevolmente. L’avventura inizierà alle 20, dobbiamo trovarci in centro a Fanano con un’altra famiglia per partire insieme. Noi siamo in 4, io mia cognata Giuliana e i miei nipoti Sonia e Federico. Antonella, Mauro e il loro figlio Lorenzo ci accompagnano.

Ecco prepariamo gli zaini con le giacche a vento e i maglioni, alle 22 sullo Spigolino c’e’ molto freddo.

Poi si parte, con 2 auto. Il cielo è gia un po scuro, ho portato la telecamera, proverò a riprendere la serata, ma temo che non ci verra’ un granche’ perche’ non sono attrezzata per la ripresa notturna, però ci provo ugualmente.

Cominciano le curve, siamo in silenzio, piu’ di uno soffre il mal d’auto quindi adottiamo lo stratagemma di seguire la strada con la testa.

Dopo 20 minuti di salita dobbiamo fermarci perche’ c’e’ un problema con l’auto, si accende sempre la spia dell’acqua. Giuliana, che guida, è preoccupata, non se la sente di andare avanti, ci aspetta ancora molta strada con il buio che avanza. Lampeggiamo con i fari all’altra auto, ci fermiamo tutti per un consulto, che fare?

Alla fine decidiamo di continuare, tutti nell’auto di Mauro, è una Multipla e ci sono 6 posti, tutti meno Giuliana, che decide di tornare indietro al bosco. Gli ultimi accordi e si riparte.

Continuiamo per 15 minuti ancora su strada asfaltata fino a Capanna Tassoni, poi la strada si fa sterrata. Saliamo sobbalzando, per fortuna che la macchina, piena ormai, tiene bene la strada, molto meglio del nostro stomaco. Ci sono altre auto che fanno la nostra stessa strada.

Finalmente dopo acroce_arcanaltri 20 minuti di scossoni arriviamo al punto di raccolta sul nostro versante, Passo di Croce Arcana. Ormai è buio. Smontiamo dall’auto accaldati, l’aria è molto fredda e mi gela il sudore addosso, comincio con l’indossare la felpa ma non basta, devo mettere anche la giacca a vento. Anche gli altri si affrettano a vestirsi. I miei nipoti, già abituati a questa escursione sono già pronti, noi adulti invece no. Io e Antonella in particolare.

Dopo la vestizione si parte, ma, com’è che disse qualcuno…..”Fai il primo passo con fede, non occorre che tu veda tutta la scala:basta che cominci a salire sul primo gradino..”beh, il mio primo passo è un capitombolo, ho messo il piede in una buca e tombola, giù distesa per terra con tutta la mia attrezzatura, bene.

Mi alzo tra le risate dei miei cari compagni di avventura, che gentili. Federico, il mio caro nipotino, non la smette piu’ di ridere. – Ma dai ziaaaaaaaaa –

 

Si riprende con tanta carica, Fede Sonia e Lorenzo sono gia’ avanti, hanno le gambe lunghe della gioventu’ loro, io e Antonella invece facciamo presto a perdere la spinta iniziale, dopo un po di salita arranchiamo e sbuffiamo.

E’ scuro, ma non siamo soli, veniamo presto raggiunti e sorpassati (senza sforzo) da tante altre persone, in silenzio. Il percorso non è difficile, nel fianco della montagna sono stati scavati dei gradini che agevolano la salita. Mentre ci fermiamo per riprendere fiato, incontriamo alcuni asini e delle mucche. I giovani nel frattempo sono già arrivati in cima e ci chiamano. Ancora un pezzo e poi sono arrivata. Mi giro a guardarmi intorno, Antonella è sparita, credo sia rimasta indietro con il marito Mauro. Un’ultimo sforzo ancora ed ecco che mi trovo in un piccolo spiazzo, ricolmo di gente. Federico mi viene incontro per aiutarmi, poi mi conduce all’estremita’ opposta dello spiazzo. – Guarda zia , guarda in basso sull’altro versante del monte – luna-piena

Mi affaccio e vedo tante persone che salgono da altri sentieri opposti al nostro. Di là c’e’ la Toscana. Resto a guardare rapita, tante luci che si avvicinano fino a diventare volti sorridenti che cercano altri volti conosciuti. Persone che si sono date appuntamento qui, in questa notte che sembra magica.

Inizia la messa, ci sono 3 sacerdoti, i convenuti si stringono intorno all’altare improvvisato, c’è molto freddo e in cielo la luna è un grande disco bianco, molto vicina. Ad un certo della messa nel momento in cui si dichiarano le intenzioni, il parroco invita i presenti a ricordare i loro cari, e allora uno dopo l’altro si odono le voci che gridano dei nomi:

 

Francesco –

Ilaria e Giovanni –

Antonio –

Sergio –

….

Sonia dice: - Ivana – (è sua nonna)

Federico : - Pierino – (sento un brivido, è mio padre)

anche io allora grido : - Adriano - (il fratello di mio padre deceduto un’anno fa)

 

E tante altre voci si aggiungono, e tanti nomi volano in cielo, brividi di eccitazione nella notte fredda. Guardo Sonia e Federico che si sono avvicinati a me e mi sorridono incappucciati, il loro respiro è vapore, una nebbia di fiato avvolge tutti come in una brughiera.

 

Poi riprende la funzione. Sono quasi le 23 quando il gruppo intona l’ultimo canto. Madonna della neve. Accendo la telecamera per registrarlo, so che a Giuliana piace e così ne riporto a casa il ricordo.

La messa nel frattempo è finita.

Dopo i saluti ogni persona o gruppo accende la sua lampada e si incammina sul sentiero del ritorno. Fiumi di luci che si snodano sui 3 versanti praticabili dello Spigolino, fiumi che tornano alla foce.

Anche noi scendiamo, siamo stanchi e inciampiamo spesso, i piedi fanno male. Sonia ci fa da faro nella notte illuminandoci il cammino. Arriviamo alla Croce Arcana dove abbiamo lasciato l’auto, ci svestiamo e partiamo.

Il primo tratto di strada verso Capanna Tassoni viene fatto in silenzio, si sentono solo i nostri respiri affannati. Il vapore all’interno dell’auto in contrasto con la temperatura esterna provoca l’appannamento dei vetri, non so come faccia Mauro a veder fuori.

- Mauro, ma ci vede Lei li davanti? - E’ la mia voce che finalmente spezza il silenzio. Non ero l’unica ad essere preoccupata, perche’ anche gli altri si scuotono dal torpore e protestano ridendo.

Mauro allora pulisce il vetro e ci rassicura, poi comincia a raccontarci le sue avventure giovanili di campeggiatore, e cosi’ arriviamo sulla strada asfaltata e poi a Capanna Tassoni. Dopo una breve sosta per bere un po d’acqua alla fonte si riparte per Fanano.

casello. Io e i miei nipoti siamo attesi nel Casello del suocero di mio fratello nel bosco, dove passeremo la notte. Antonella e Mauro ci accompagnano fin li, in prossimita’ del guado, e dopo i saluti ripartono.

E’ l’una di notte e dobbiamo attraversare il torrente che delimita il bosco al buio saltando sulle poche pietre che affiorano scivolose dall’acqua. Incredibile, non cade nessuno. Poi via sul sentiero, siamo solo noi tre che camminiamo alla luce della lampada nel fitto degli alberi centenari, si sente in sottofondo il rumore del torrente che e’ amplificato dal silenzio e lo scricchiolio dei nostri passi. Mi viene in mente che a quest’ora ci sono in giro tanti animali che di giorno stanno nascosti, brrr, speriamo di non fare brutti incontri, i ragazzi sono piu’ tranquilli di me.

Finalmente ecco in lontananza una luce, e’ il casello! Forza siamo quasi arrivati, siamo stanchissimi. Superiamo il recinto elettrificato che delimita l’area abitata e poi ecco comparire mio fratello Alberto, mia mamma e mia cognata Giuliana, sono li ad aspettarci.

 

Il giorno dopo entusiasta di questa avventura ho assediato il papa’ di Giuliana per farmi raccontare tutto quello che sa’ di questa tradizione, e lui da buon amante della montagna non si e’ lasciato pregare.

La Santa messa sul Monte Spigolino al “chiar di luna” (ore 22) è iniziata esattamente nel 1988, allora era parroco di Fanano Don Andrea Giannelli. Poi seguirono altri sacerdoti anche di altri comuni e perfino tre Monsignori di Bologna tra i quali Mons.Aldo Calanchi e quest’anno Mons.Isidoro Sassi. L’affluenza e’ sempre stata alta, e mi garantisce che le condizioni atmosferiche non sono sempre state buone come questa estate.

 

Come tutte le storie che si rispettano anche questa e’ animata da anedotti. Uno in particolare mi ha colpito e lo voglio citare. Non mi è stato possibile risalire all’anno in cui e’ avvenuto, pero’ sembra che in quell’estate l’avvenimento fu organizzato con alcune pecche che pero’ furono risolte con la soddisfazione di tutti. La prima complicazione fu la mancanza di un “Don “ che potesse celebrare la messa, allora fu arruolato un giovane parroco che forse per l’agitazione dimentico’ di portare con se le ostie per la comunione. Si era gia’ sulla vetta dello Spigolino. Che fare? Allora qualcuno dei presenti tiro’ fuori dei CREACKERS e si decise insieme che “ ….il Signore avrebbe dovuto chiudere un occhio per quella volta….”, e la comunione fu salva anche se il corpo di Cristo era un po salato.

MILVA BENZI

il nostro gruppo

27 settembre 2009

 

 

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