Due Tassi

‘’Abbiamo ricevuto un racconto bellissimo da Lionello , ci ha fatto sognare ed essere nello stesso luogo del racconto. Ci auguriamo che sia cosi’ anche per tutti coloro che leggeranno’’

 

campo-di-grano-con-fiori-di-maisIl contadino mi avverte che c 'è il tasso nel campo in fondo del granturco. Ha già trovato più di cento stocchi piegati e la pannocchia divorata.

Non è ancor granito, il chicco; è tenero, lattiginoso, succulento, dolciastro; proprio come piace al tasso, che lo preferisce a quello maturo. Il capoccia mi avverte che è furbo come il diavolo.

— Ho provato a ' fregarlo ' in tutti modi ; mi sente a mezzo miglio e se la batte; se vuol provar lei... ma badi, bisogna ci perda la notte, perché la luna s'alza tardi.

S'alza verso la mezzanotte; ma io, alle undici, son già li, al margine fra il bosco e il campo e son lieto che il vento mi soffi alle spalle. Il tasso, che viene dalla collina di fronte, non mi sentirà.

E venuto con me il mio ragazzo maggiore. Ha quindici anni: un altr'anno, se passa all'esame, gli prenderò la licenza di caccia, sotto la mia responsabilità; ma posso prendermela, perché già pratico da anni, fin dagli undici o dodici, quando mi prendevo, di frodo, la carabina e andavo pei boschi col figliuolo, a caccia di merli e pettirossi.

E quindi non gli ho potuto impedire di portare, anche lui, il calibro venti. Tanto, è quasi nella legge!

La caccia di notte, caccia proibita per ogni altro animale che non sia nocivo, ha un gran fascino per lui, e, lo confesso, anche per me. L' aspetto ha sempre in se qualcosa di misterioso e di avventuroso; qualcosa che ci richiama ai romanzi di caccia grossa: la caccia in cui l'imprevisto è tutto e la certezza è nulla.

Io non ho mai ammazzato un tasso all'aperto; ne ho ammazzato solo uno, in vita mia, ma alla tana.

Il tasso è una bestia un po' da favola, un po' da leggenda.tasso

E’ comune, in campagna, ma pochi lo vedono; tutti ne parlano e pochi possono vantarsi di avergli tirato; i contadini lo descrivono a tinte fosche: bestia pericolosa, feroce, mordace; con denti tanto duri da intaccare il ferro di una vanga; quando è infuriato, può sbranare a morsi cani e uomini. In corsa, nessuno lo arriva; è dannoso tanto da compromettere un raccolto di granturco; nelle vigne poi è un flagello: vendemmia per proprio conto. Ha un odorato come cento cani e una vista come cento linci. La sua carne è più squisita di quella del cinghiale.

Questa, si capisce, è la leggenda campagnuola: la realtà è diversa.

II tasso è una bestiola patriarcale e inoffensiva; non chiede che di esser lasciata in pace. E’ solitario, ama le belle notti di luna; ama tutte le cose buone e dolci: le mele cadute dagli alberi, le ghiande, i tartufi, il miele selvatico, il granturco tenero e l'uva matura.

Non ha mai compromesso nessun raccolto. II contadino lo incolpa di molti ladrocini che non è lui a commettere; tanto, sa che il tasso non verrà mai a difendersi, ne lo querelerà per calunnia.

II contadino e i ragazzi del contadino mangiano le primizie, non le danno mica al padrone! Ma il tasso si contenta delle ultime frutta, di quelle cascaticce, di quelle un po’ guaste, di quelle che avvizziscono sulla pianta e che i primi venti dell'inverno buttano giù dall'albero: nespole rinsecchite, fichi verdini aggrinziti, ma dolcissimi: melucce che non valeva la pena di cogliere. Fa qualche danno, sì, ma il contadino esagera: il contadino non concede mai nulla a chi lo aiuta nella lotta contro i malvagi; il contadino vede il grappolo piluccato, vede il granturco rosicchiato, ma non vede la vipera divorata dal tasso, non vede le migliaia di chiocciole, di bruchi e di larve, che il tasso gli distrugge.

Queste parole non le dico a mio figlio. Gliele ho già dette quando era più piccolo. Ora taccio. Egli, è logico, mi direbbe: « Babbo e allora perche vieni ad ammazzare il tasso ?». E queste cose ai cacciatori non si devono dire. Non si è ancora alzata la luna. II campo di granturco, visto così, nella penombra, coi suoi pennacchi dritti, sembra un quadrato di granatieri in parata.

La leggera brezza notturna ci passa dentro con uno scroscio lieve di ruscello. Sul crinale dei poggi s'imbianca gia l'aurora della luna. II cielo si fa lattescente e diluito; Ie stelle vicine all'orizzonte impallidiscono, poi ad una ad una, si velano.

— Verrà proprio qui, il tasso? — chiede mio figlio a bassa voce. — II campo è immenso. —campograno

Gli addito la radura con gli steli piegati, dinanzi a noi,

— Verrà qui come di abitudine. Eppoi qui il granturco è più fresco. —

La luna si affaccia, enorme, aranciata. Non è più piena, ma di tre quarti. Ascende nel cielo, goffa, niente affatto poetica, come sempre quando è all'orizzonte.

La luna è bella quando è alta nel cielo, o quando cala, sottilissima falce. Al suo levare, piena o semipiena, non è poetica: non ha saputo ispirare leggiadre immagini; Dante l'ha detta simile a ' un secchione che tutto arda'; Shelley l'ha chiamata ' Candida massa informe '; altri non ha saputo vederci che una rosea frittata, o un grosso piatto dorato.

Poi, man mano che sale alta nel cielo, si ingentilisce, perde quel suo color vinato, si fa argentea, perlacea, immateriale.

Tutta la campagna, d'un tratto, si vela di un pulviscolo d'argento: trema; alita un respiro di frescura: quel che un poeta moderno ha detto ' il gelo estivo '.

Strano che pensi queste cose mentre son qui per ammazzare il tasso, questo rustico poeta colpevole soltanto di venir qui a sciogliere il suo digiuno.

Passa il tempo e non si sente alcun rumore. Anche la brezza è cessata e il granturco non stormisce più.

Comincio a credere che il tasso non verrà e non so dolermene.

Mio figlio tormenta nervosamente il suo schioppino; lo vedo agitato, come se invece di un pacifico mangiator di pannocchie, si aspettasse una tigre o una pantera. Credo che l'attesa, il batticuore, la passione, siano identici.

— Non viene — sussurra — son certo che è a mangiare altrove.

—Forse è cambiato vento e ci ha sentiti. —

Inumidisco un dito e lo levo in aria. No, una leggerissima brezza ci viene ancora di fronte.

Ora la radura è illuminata in pieno; credo che vi scorgeremmo un topo, se vi passasse attraverso.

Alzo una mano e trattengo il mio ragazzo che vorrebbe ancora far domande.

Non è che io ' senta' veramente qualcosa, ma intuisco, col sottile istinto del cacciatore, che qualcosa veramente avviene.

Si, alcunchè di impercettibile si muove al centro del campo. II tasso è silenzioso, nel suo incedere; ha un passo veramente ovattato e so che si ferma ogni momento ad ascoltare.

Lo vedo. E’ immobile al margine della radura. Se non avessi fissato l'occhio prima, su quel punto, potrei prenderlo per una zolla o per un grosso sasso rotondo; lo vede anche mio figlio e istintivamente imbraccia il fucile. Gli abbasso le canne.

Che avviene? L'attesa si prolunga. Ad un tratto odo lo stesso fruscio di poco prima, nell'interno del campo; poi, di colpo, il primo tasso si muove e viene avanti con un piccolo saltello, quasi agile, che non gli avrei sospettato; e nel tempo stesso un altro batuffolo oscuro esce all'ombra, esegue un identico salto e si ferma.

Li vedo distintamente: sono due. Ora penso che vedrò certamente qualche cosa di insolito, di interessante.

Metto un dito sulle labbra e anche il mio ragazzo risponde con lo stesso segno.

Assistiamo a una cerimonia stranissima.

I due animali stanno muso a muso; poi uno leva in alto la testa, come ad aspirare il vento e subito la riab-bassa sul terreno e ve la tiene fissa come in atto di sommo rispetto per il compagno. Quando egli la rialza, l'altro esegue l'identica pantomina. Questi reciproci inchini durano per tre o quattro volte, poi i due animali, muso a muso, cominciano un bizzarro dondolio dall'alto al basso, tenendo sempre i loro nasi ad un esatto livello.

A un tratto l'uno e l'altro eseguono un brusco giro su se stessi e tutti e due rimangono immobili.

I convenevoli dell'incontro sono finiti.

Noi guardiamo immobili, tenendo il respiro.

I due tassi vengono verso di noi; sono illuminati in pieno; si possono scorgere le striature sul dorso, e gli strani occhiali della maschera.

Una grossa e robusta spiga si erge, isolata, col suo pennacchio inargentato dalla luna; vedo anche la pan-nocchia, turgida, col suo ciuffo di barba. Uno dei tassi si alza sulle zampe posteriori, si appoggia allo stelo, lo abbatte; ma con nostra somma meraviglia non si precipita al ghiotto festino: rimane immobile, coricato sulla pianta, per impedirle di rialzarsi. L'altro si avvicina a piccoli passi, si prende la pannocchia fra le zampe davanti e comincia tranquillamente a sgranarla. L'altro pazientemente aspetta.

Aspetta... che cosa? Forse un invito? Forse un ordine? Ma non vengono, né l'uno né l'altro; il compagno divora i chicchi dolciastri e succulenti, e l'altro mantiene lo stelo ben aderente al terreno.

Sento un lieve squittire, simile a un lamento, meglio, al vagito di un bimbo; e il tasso che, stanco di aspettare, impaziente di esser chiamato, protesta. E, come non gli viene alcuna risposta, si muove. Cautamente, quasi senza muovere i piedi, risale la pianta, si avvicina, rimane fermo col muso a due dita dalla pannocchia e fa udire nuovamente lo stesso vagito.Due tassi

L'altro leva la testa dalla spiga e grugnisce rabbioso: qualcosa fra il gracidare di una rana e il soffio di un gatto; il compagno fa un piccolo salto indietro, si aggomitola col muso a terra e non si muove più.

E l'altro sgrana, sgrana, voluttuosamente, con un rumore ingordo, sonoro; nel mordere, la sua testa si agita dal basso all'alto; desiderio, o soddisfazione. Poi, d'un tratto, bruscamente, lascia e volta le spalle.

Subentra l'altro, che mangia più composto, con minor foga e minor rumore.

II primo assume, ora, l'identica posa dimessa e mansueta del compagno, col muso a terra.

Amo credere che il primo sia la femmina, il secondo il maschio. Voglio credere alla cavalleria, alla galanteria, all'altruismo; non all'egoismo, all'avidità, alla prepotenza.

Tutte le mie simpatie vanno al maschio, che toglie ogni fatica alla madre dei suoi piccoli, che le procaccia il miglior boccone, che si accontenta dei suoi resti.

Se fossi certo che il secondo altri non sia che un brutale ed egoista sultano, gli sparerei senza esitazione.

La scena si ripete. Esaurita la prima pannocchia, altri steli vengono abbattuti, sempre dal medesimo animale, che esegue sempre l'identica scena, senza variare una battuta.

E’ certo il maschio: è molto più grosso, molto più robusto; le sue strie, i suoi occhiali, appaiono segnati.

Quante? Mettiamo dieci pannocchie per sera: ogni pannocchia una media di cento chicchi, dunque mille chicchi per notte, quindicimila chicchi in quindici notti; un chicco, mezzo grammo: quindicimila chicchi, sette chili e mezzo di granturco! Da questo campo se ne raccoglieranno almeno venti quintali.

Sette chili e mezzo, contro duemila!

Questo marito e questa moglie, dunque, chiedono al contadino lo 0,35 per cento in paga di milioni di bruchi, vermi, e larve; di migliaia di chiocciole e lumache; di diecine di vipere divorate.

II contadino trova che questa indennità sia sempre troppo cara, e manda me, armato di schioppo, a vendicare l'oltraggio.

No, non vendicherò un bel nulla, o piccoli, occhialuti filosofi del bosco e della notte! Siete cosi belli, cosi buoni, così soffici, sotto l'argento della luna, che vi fa preziosi, distinti, veri animali da favola!

Ma poi... divoreranno davvero dieci pannocchie per notte? Non credo. Mi pare di averne contate quattro o cinque, forse sei; più, no di certo; ed ecco che son sazi. Stanno fermi uno di contro all'altro, muso a muso, anzi, naso a naso, e d'un tratto ecco che ricomincia la buffa cerimonia del dondolamento, degli inchini, del circolo a destra, circolo a sinistra: cerimoniale di commiato, come vi è stato quello di incontro.

Probabilmente, come avviene nelle grandi casate, monsignor tasso e madama tassa abitano in appartamenti separati e si ritrovano solo a ore fisse, in sala da pranzo, nella più ampia, nella più austera, nella più fastosa sala da pranzo che mai abbia posseduto un potente della terra; che ha, per soffitto, il paradiso azzurro; per decorazione, le stelle; per lampadario, la luna; per colonnati, le querce del bosco; per tappeto, l'erba del prato.

Che avviene? Sta per spuntare un'altra luna? A oriente galleggia nel cielo una nuova lattescenza: tornano a sparire le stelle, e anche la luna si è fatta pallida e diafana come una perla.

E’ l'alba.

Vedo i dorsi dei due tassi, rotondi, ispidi, scivolar via, uno dietro l'altro, tra i filari del granturco. Spariscono.

II mio ragazzo, senza dir nulla, leva la pezzuola di tasca e asciuga con cura le canne del fucile imperlate dalla rugiada.

Poi mi guarda, senza sorridere, e dice:

— E’ più bello che al teatro! —

Sfido! hanno recitato gli attori di Dio!

 

 

‘’Il racconto ci è stato inviato dal Signor Lionello Bessi di Caserta’’

 

 

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