C’era una volta un coniglio di peluche, e all’inizio era davvero bellissimo.
Aveva il mantello a chiazze marroni e bianche, baffi di filo di seta e orecchie foderate di raso rosa.

coniglietto-piccolo.

Per molto tempo, visse nell’armadio dei giocattoli e nessuno si occupò di lui. I giocattoli lo guardavano dall’alto in basso.

“Io sono il modello di una barca vera!”. Si vantava il veliero.
Il coniglio non poteva vantarsi di essere un modello di qualcosa, perché non sapeva nemmeno che esistessero i conigli veri: credeva che fossero tutti pieni di gommapiuma.
Solo un vecchio e saggio cavallino di stoffa era buono con lui.
Capiva la magia del mondo dei bambini e dei giocattoli.

“Che cosa vuol dire essere vero?”, gli chiese un giorno il coniglio. “Vuol forse dire avere dentro di te cose che ronzano e una manovella che sporge o una batteria?”.
“Per essere vero non conta come sei fatto”, rispose il cavallino. “E’ qualcosa che ti capita. Quando un bambino ti vuole bene da tanto, tanto tempo, e non solo per giocare con te, ma perché ti vuole bene sul serio, allora diventi vero”.

“Fa male?”, volle sapere il coniglio.
“A volte si”.

“Succede tutto di colpo, come quando ti caricano, o poco per volta?”.
“Non succede di colpo. Diventi. Ci vuole tempo. Di solito, quando diventi vero, hai già perso quasi tutto il pelo, ti si staccano gli occhi e le giunture cominciano a cedere. Ma una volta che sei vero, sei brutto solo per chi non capisce”.

“Immagino che tu sia vero”, commentò il coniglio.
“E’ stato lo zio del bambino a farmi diventare vero. Accadde molti anni fa. Ma una volta che sei vero, lo rimani per sempre”.
Il coniglio sospirò.
Aveva una gran voglia di sapere che cosa si provava ad essere veri, ma l’idea di diventare spelacchiato, di perdere gli occhi e i baffi lo rattristava.
Sperava di poter diventare vero senza passare attraverso tutte quelle cose.

  “Non è un giocattolo”

Nella stanza del bambino comandava una persona che tutti chiamavano Tata.
Una sera il bambino non trovava il cagnolino di pezza che dormiva sempre con lui.

“Ecco”, disse la Tata, “tieni il coniglietto”.
Prese il coniglio per un orecchio, o tirò fuori dall’armadio, e lo mise tra le braccia del bambino.
Quella notte, e per molte altri notti, il coniglietto di peluche dormì nel letto del bambino.
Da principio, trovò la cosa scomoda, perché il piccolo lo stringeva, lo ficcava sotto il cuscino, si addormentava sopra di lui.
Ma, ben presto, la cosa cominciò a piacergli, perchè il bambino gli parlava e giocava con lui.

Il tempo passava, e il coniglietto era così felice da non accorgersi che il suo bel mantello diventava ogni giorno più logoro, la coda si stava scucendo e il naso, a forza di ricevere baci dal bambino, aveva perso il suo bel colore rosa.
Una volta che il bambino fu chiamato all’improvviso mentre giocava nel bosco, il coniglio venne lasciato sull’erba fin dopo il tramonto e la Tata dovette andare a cercarlo perché il bambino non riusciva ad addormentarsi senza di lui.

“Hai proprio bisogno di quel coniglietto!”, lo sgridò la Tata. “Quante storie per un vecchio giocattolo!”.
“Non dire così. Non è un giocattolo. E’ vero!”.

Finalmente quel che aveva detto il cavallo era realtà!
La magia aveva funzionato ancora e lui non era più un giocattolo.

Era vero.

Lo aveva detto il bimbo.
Quella notte non riuscì a prendere sonno per la felicità, e il suo cuoricino di gommapiuma quasi gli scoppiava nel petto.


 Due conigli nuovi fiammanti

Vicino alla casa, c’era un bosco dove il bambino andava a giocare.
Portava con sé il coniglietto e, a volte, lo lasciava in un piccolo nido tra le radici.
Un giorno, mentre il coniglietto di peluche se ne stava lì solo, vide due strane creature avvicinarsi di soppiatto.
Erano conigli come lui, ma con tanto pelo e nuovi fiammanti. Li avevano fatti senz’altro molto bene perché le cuciture non si vedevano e quando si muovevano cambiavano forma.
Quando si avvicinarono muovendo il naso, il coniglietto cercò di vedere da che parte avevano il meccanismo.
Sapeva infatti che quando le creature saltano, di solito hanno una carica.
Ma non vedeva niente.
Dovevano essere una nuova specie di conigli.

coniglietti-insieme.


“Perché non ti alzi e vieni a giovare con noi?”, chiese uno di loro.
“Non me la sento”, mentì il coniglietto. Non voleva dire che lui non aveva meccanismi.
“Ma è facile!”, esclamò il coniglio peloso. Saltò da una parte e rimase ritto sulle zampe posteriori.
“Mi sa che tu non sei capace a farlo”.

“Invece si”, disse il coniglietto. “Posso saltare più in alto di tutti!”.
Voleva dire che questo avveniva quando il bambino lo lanciava in aria, ma non osava dirlo.
“Sai saltare sulle zampe di dietro?”, chiese il coniglio peloso.
Era una domanda tremenda perché il coniglietto non aveva zampe posteriori. La sua parte di dietro era fatta di un unico pezzo.
Sperava che gli altri conigli non se ne sarebbero accorti.
Ma i conigli selvatici hanno una vista molto acuta. Uno allungò lo sguardo.
“Non ha le zampe di dietro!”, esclamò, e cominciò a ridere.
L’altro coniglio lo annusò, arricciò il naso e fece un salto indietro.

“Ha un odore strano!”,  esclamò.
“Non è per niente un coniglio! Non è vero!”.

“Io sono vero!”, insistette il coniglietto. “Sono vero! Lo ha detto il bambino!”.

Con un salto, i due conigli scomparvero velocemente.
Proprio allora il sole calò e il bambino venne a riprendersi il suo coniglietto.  

“Bruciatelo subito!”

Un giorno, il bambino si ammalò.
Il viso gli divenne rosso e il corpicino era così ardente da bruciare il coniglietto quando lo stringeva a sé.
Persone sconosciute andavano e venivano.
Durante tutto quel tempo il coniglietto di peluche rimase lì, nascosto sotto le coltri.
Non si mosse mai, temendo che, se lo avessero scoperto, lo avrebbero portato via; e lui sapeva che il bambino aveva bisogno della sua vicinanza.
Poi la febbre scese e il bambino cominciò a star meglio.
Poteva rimanere seduto sul letto a guardare i libri illustrati mentre il coniglietto stava rannicchiato contro di lui.
E un giorno il bambino ebbe il permesso di alzarsi e vestirsi.
Il giorno dopo sarebbe partito per il mare.
Era tutto predisposto e non restava che eseguire gli ordini del medico: la camera doveva essere disinfettata e tutti i libri e i giocattoli con i quali il bambino si era baloccato mentre era a letto dovevano essere bruciati.

“E il suo coniglietto?”, chiese la Tata.
“Quello?”, disse il medico. “Per carità, è un concentrato di microbi infettivi! Bruciatelo subito e comprategliene uno nuovo”.

E così il coniglietto fu messo in un sacco con vecchi libri illustrati e tanti oggetti inutili e fu portato in fondo al giardino.
Il giardiniere promise che la mattina seguente sarebbe arrivato presto per bruciare tutto.
Quella notte, mentre il bambino sognava il mare, il coniglietto mise la testa fuori dal sacco.
Vedeva i cespugli dove aveva giocato con il bambino e fu preso da una grande malinconia.
A che serve essere amati e perdere la bellezza e diventare veri, se poi si finisce così?

E una lacrima, una lacrima vera, rotolò sul logoro nastro di velluto e cadde a terra.

La fata delle magie

Allora avvenne una cosa strana.
Dal terreno, nel punto in cui era caduta la lacrima, spuntò un fiore misterioso.
La corolla si aprì e ne uscì una bellissima fata che prese in braccio il coniglietto e lo baciò sul naso di velluto.

 “Coniglietto”, disse, “sono la fata delle magie dei giocattoli. Quando sono vecchi e sciupati e nessuno li guarda più, li porto via e li faccio diventare veri”.
“Ma io non ero vero anche prima?”.
“Eri vero per il bambino, perché lui ti voleva bene. Adesso sarai vero per tutti”.

Lo prese in braccio e lo portò nei boschi.
Lo depositò in una radura dove danzavano i conigli selvatici.

“Vi porto un nuovo compagno di giochi”, annunciò la fata. “Dovete essere buoni e insegnargli tutto quello che ha bisogno di sapere perché vivrà con voi per sempre!”.

Baciò ancora il coniglietto sul naso e lo depose delicatamente sull’erba.

“Corri a giocare”, gli disse.

Il coniglietto balzò nell’erba e si accorse improvvisamente di avere le zampette posteriori e anche una bella pelliccia nuova, soffice e lucida e le orecchie si rizzavano da sole e i baffi erano talmente lunghi che sfioravano l’erba.
Finalmente era un coniglio vero, felice di stare con gli altri conigli.
Passarono l’autunno e l’inverno e, quando le giornate si fecero tiepide e assolate, il bambino tornò a giocare nel bosco.
Un coniglio sbucò dalle felci e lo sbirciò.
Nel suo pelo stranamente chiazzato e nei lucidi occhi neri c’era qualcosa di familiare, tanto che il bambino pensò:

“Somiglia proprio al mio vecchio coniglietto di peluche che è andato perduto dopo la malattia!”.

Non seppe mai che era proprio il suo vecchio coniglietto, venuto a guardare il bambino che, per primo, lo aveva aiutato a diventare vero.


  conigli.
Margery Bianco