Gallina.

A Bedizzole, vicino al lago di Garda, un comitato di cittadini è riuscito a bloccare la realizzazione di un inceneritore (o gassificatore) sperimentale di cacca di pollo (pollina).

 

CITTADINI - INQUINATORI: 1-0

 

Dopo le amministrative di maggio 2012 e dopo la giornata di oggi si riaccende un barlume di speranza, potendo toccare con mano quanto possa essere importante il risveglio dei cittadini, per troppi anni controllati unidirezionalmente dai mass media, e che oggi possono, invece, attivarsi e moltiplicare il loro potere grazie alla comunicazione e alla collaborazione.  Il progetto era stato presentato oltre un anno fa da una azienda, che ne avrebbe ricavato finanziamenti pubblici milionari a favore delle energie rinnovabili. La pollina, infatti, è stata recentemente equiparata per legge alle biomasse per poterne incentivare l'incenerimento. Scelta in controtendenza rispetto allo smantellamento degli inceneritori in corso in America e in Europa, le cui linee guida per l'ambiente indicano il divieto di realizzazione di nuovi inceneritori per rifiuti che possono essere differenziati o compostati.

 

La pollina non è un buon combustibile e può essere trattata in molti modi più ecologici rispetto all'incenerimento: ma l'incenerimento permette anche di aggirare la direttiva nitrati (che impone agli allevatori l'onere di spargerla in superfici estese per diluire l'effetto dannoso sul suolo di un rifiuto pieno di antibiotici e sostanze chimiche: c'è poco di naturale negli allevamenti intensivi!).

La pollina, per di più, sarebbe stata per buona parte importata da altre zone, con un andirivieni di centinaia di mezzi pesanti al giorno.

L'impianto sarebbe, dunque, stato inefficiente, antieconomico, e con pesanti emissioni nell'atmosfera, già gravata dai record di inquinamento (e di tumori) della Pianura Padana.

Ma, secondo la legge, un inceneritore di biomasse fino a un MegaWatt può essere approvato dalla Provincia con iter semplificato, senza

Valutazione di Impatto Ambiantale (VIA) e senza parere vincolante dei Comuni. In tutta Italia fioriscono, pertanto, decine di progetti analoghi, che aspirano ad approfittare degli incentivi: un vero sperpero di denaro pubblico per progetti spesso di nessuna utilità pubblica, visto che, oltre tutto, il fabbisogno energetico del paese è già abbondantemente coperto.

Il comitato bedizzolese ha raccolto 10000 firme e ha ottenuto il coinvolgimento di

sette comuni di partiti diversi (ma concordi nella contrarietà al progetto!).

Grazie a cinque manifestazioni di protesta, tre conferenze con esperti per valutare rischi e alternative e una fiaccolata, è stata tenuta viva l'attenzione dei cittadini e dei media, anche grazie all'utilizzo massiccio dei social media.

Tutto ciò ha convinto i funzionari provinciali a ponderare con molta cautela una domanda che, senza la mobilitazione popolare, sarebbe stata pressoché automaticamente accolta.

Ben lontano dalla semplice mentalità "Nimby", il Comitato si è battuto non per spostare l'impianto, ma per dimostrare la dannosità sociale ed ecologica di questi progetti e di tante altre fonti di nocività non giustificate dall'interesse pubblico. E, nei mesi, il dialogo con altri comitati ha portato ad una vera e propria Rete provinciale per l'ambiente, con continuo scambio di informazioni, suggerimenti, manifestazioni condivise e un vero progetto: liberare la provincia più inquinata d'Italia dalle proprie fonti di nocività.

Il 13 giugno la risposta: la provincia di Brescia ha ascoltato le ragioni dei cittadini, degli imprenditori agricoli e turistici della zona, rifiutando l'approvazione al progetto: l'interesse di un privato non può e non deve schiacciare la salvaguardia della collettività.

 

(Articolo di Giorgio da Bedizzole)