uccello_albero. C'era una volta un ragazzotto alto e con gli occhiali che viveva da solo in una casetta sul lato sud della città.
Una vita piena di cose passate, ricca nel presente e luminosa nello sguardo speranzoso al domani.
Non disdegnava certo di dedicarsi a qualcosa che lo rendesse felice come usar le sue grandi mani in qualsiasi cosa, così tra le altre cose, nel corso degli anni, riempì il suo piccolo balcone di vasi di piante e fiori.
Li innaffiava, li curava, li coccolava a modo suo ed il vederli crescere rigogliosi lo rendeva parecchio orgoglioso e contento. Da seme a frutto, un percorso entusiasmante, fasi di vita...
Talvolta riuscì anche a crescere e veder mutare sotto i suoi occhi splendidi bruchi, che lì avevano trovato casa, in belle farfalle, seguendone tutte le fasi. La magia della vita e del continuo cambiare e divenire!
A volte qualche uccello andava a trovarlo, come attratto dalla curiosità di vedere come crescevano i germogli, come procedeva l’evoluzione dei bulbi. E talvolta, per capirlo, scavava anche alla loro ricerca, sparpagliando terriccio su tutto il pavimento del balcone. Quel ragazzo non ne era sempre così contento…

Un giorno, mentre con l'innaffiatoio dissetava una pianta bisognosa, una strana cosa in mezzo alla terra colse la sua attenzione. Aveva una forma ovoidale, quasi una ghianda venuta dallo spazio, legnosa, di colore marrone scuro. Si incuriosì e toccandola capì che era un seme, grande e pesante, certamente non era capitato lì da solo, il vento non lo avrebbe mai potuto sollevare fino al secondo piano per depositarlo delicatamente su quel materasso di terra che era contenuta nel vaso.seme
Misteriosa questa cosa! Qualcuno lo doveva aver riposto lì a sua insaputa, e chi se non uno di quei buffi pennuti dal becco giallo che ogni tanto lo andavano a visitare…
Quel ragazzo accolse quel seme come se avesse adottato un figlio in un qualche modo donato dal cielo, lo provò a curare insieme alle sue piante e così riuscì a capire che in realtà non era altro che una specie di quercia…
“Che ridere - pensava - sta a vedere che mi cresce una quercia sul balcone!! Invece che la casa sull’albero, l’albero sulla casa!!!”
Ma il tentativo non andò a buon fine e dopo qualche tempo il germoglio che da quel seme era derivato non riuscì ad andare oltre.
Il ragazzo, seppur dispiaciuto, non ci pensò più ma la primavera seguente, periodo di rinascita, ritrovò nuovamente un altro seme in un altro vaso.
Solito ignoto donatore volante...
E la storia cominciò di nuovo ma purtroppo per concludersi con lo stesso esito.
“Forse troppa acqua, o troppo sole, forse la terra non era giusta, il vaso troppo piccolo…” si disse. Il ragazzo si interrogava, non cercava giustificazioni bensì spiegazioni valide che potessero placare il suo dispiacere ed al contempo l’amarezza di quella che reputava in un qualche modo una sconfitta personale.
Poi anche l’estate finì e, come ogni anno, ripose via alcuni vasi ormai senza più vegetazione e solo ricolmi di terra asciutta. Come sempre li mise nel suo garage, ancora pieni di terra, con l’intento prima o poi di svuotarli e riutilizzarli l’anno successivo per altre semine ma con terra nuova.
Lì li pose. E lì restarono. Forse se ne dimenticò anche.
Continuò a curare ciò che aveva tenuto sul balcone, i prescelti, gli immortali che avrebbero retto anche la rigidità pungente dell’inverno che sarebbe arrivato.

Poi dopo qualche tempo, a fine primavera, arrivò una nuova fase di vita e con essa il momento di lasciare quella casa e dovendo trasferirsi altrove iniziò aterriccio spostare un pò di cose nel suo garage, cartoni, scatole, mobili...
E così, cercando di ottimizzare lo spazio in quel luogo sempre chiuso e buio, spostando un cartone ricolmo di ricordi del cuore, trovò un vaso ormai dimenticato da tempo, uno di quelli deportati.
La terra era asciutta e secca, non una stilla di umidità a imbrunirne il colore ed a toccarla si sbriciolava come sabbia. Fragile ed al contempo all’apparenza sterile e infruttuosa, evidentemente incapace di far da placenta ad alcunché.
Ma da quel vaso usciva un filo bianco.
No, non era un filo, era un cavo, un cavo elettrico, tipo uno di quelli da tv.
Guardò meglio, si avvicinò.
Il “cavo” era infilato nella terra e si ergeva esile ma sinuoso come radici di mangrovia che escono dall’acqua, sottile e bianchissimo, lungo almeno mezzo metro.
In cima aveva l’abbozzo di quattro foglioline, tentativo estremo di visibilità e radar di quella poca luce che filtrava da una finestrina.
Ricordi e obblighi genetici. Potenza della Natura.
Dentro a quel vaso, riposto all’inizio dell’autunno, aveva giaciuto nascosto e silenzioso nella terra, un altro seme, esattamente uguale agli altri.
Con tutte le sue forze si era imposto, aveva ostinatamente tentato la fuga dalla notte che lo circondava, dall’arsura di un vaso che lo costringeva, impadronendosi gelosamente e famelico di ogni eventuale goccia di umidità che avesse potuto cogliere.
Si era eretto finchè poteva, periscopio di vita.

Estasiato, quel ragazzo rimase a guardarlo ammirato per un po’, incredulo e commosso, come quando non si capacita di quelle che talvolta appaiono mere coincidenze (ma che tali non sono…) e riflette sul buffo senso dell’umorismo che ogni tanto il fato esprime…
Poi lo prese, scavò una buca in cortile e lo trapiantò nel giardino di quella casa che a breve avrebbe lasciato, in una terra fertile e umida, che potesse dare a quel germoglio il nutrimento che necessitava.

Oggi, ogni volta che scende e gli passa accanto, lo guarda e sorride.
Ora è verde e più robusto, sta crescendo, incredulo delle sue peripezie e avventure.
Si farà grande.
E quel ragazzo ancora di più.

Sempre grazie a quegli esseri che negli anni non hanno mai mancato di donarmi il seme della speranza e l’occasione di rinascere.

 

 

salmoni. Marzo 1977

George Ohsawa una volta ci racconto' una storia misteriosa sui salmoni che risalgono i fiumi per ritornare nel posto dove sono nati. Da quel momento sono rimasto affascinato dalla natura dei salmoni. Mi è capitato diverse volte di andare a pesca di salmoni ed ho potuto osservare l'incredibile energia, che consente loro di nuotare per più di tremila chilometri, prima attraverso l'oceano e poi controcorrente nei fiumi, fino al luogo di nascita. questo fenomeno non mi ha soltanto affascinato, ma mi ha spinto a chiedermi come e perchè i salmoni riescano a trovare il punto esatto in cui sono nati, apiù di tremila chilometri di distanza.
La risposta l'ho trovata di recente in un libro intitolato " Water " (Acqua) di Rutherford Platt. Scrive l'autore:

" L'inestricabile" mistero dei salmoni che svoltavano a destra, è stato risolto mediante un'esperimento per cui i microscopi non erano necessari. I ricercatori avevano individuato un centinaio di salmoni proprio sopra la biforcazione di un grosso affluente. Tutti portavano un segno che ne facilitasse l'identificazione e una cinquantina di essi erano stati privati degli organi olfattivi. Assieme furono trasportati di nuovo sotto la biforcazione del fiume e li liberati. Quelli dall'olfatto integro tornarono a girare a destra come prima, invece quelli privi di olfatto rimasero a lungo sconcertati ed alcuni finirono per prendere a sinistra, altri a destra.
Come fa un salmone a ricordarsi l'odore del luogo in cui è nato? I salmoni riconoscono le molecole del loro odore personale persino se sono mescolate fra miriadi di particelle diverse di odori, e questo perchè la scia di un salmone porta con sè tracce di odore del materiale organico del luogo in cui fu prodotto.
Le ricerche in questa direzione sono iniziate nei luoghi in cui avviene la riproduzione, nel nostro caso in una tana dietro ad un'isola lacunare, in un punto di acqua ferma sotto la riva di un fiume e fra i sassi di un limpido torrente. I ricercatori osservarono la femmina mentre deponeva le uova ed il maschio che le fecondava, per poi ricoprirle di sedimenti acquatici. Da li a qualche settimana uscirono i piccoli salmoni e l'acqua cominciò a pullulare della loro presenza.
Se si prendono i pesciolini subito dopo la nascita e li si trasferisce in un altro ruscello, essi memorizzeranno gli odori di quest'ultimo luogo, e non di quello in cui sono nati. in poche parole, il ricordo di un odore non è genetico: essi non l'hanno ricevuto dai loro genitori, ma si è impresso in loro attraverso quello che hanno mangiato subito dopo la nascita, finchè sono ancora piccoli.
Questa non è memoria cerebrale, bensì memoria molecolare, una memoria istintiva che risiede in ogni cellula del corpo, costituita da ciò che il pesce ha mangiato nelle sue prime settimane di vita. Questo meraviglioso meccanismo viene esercitato dagli enzimi proteinici all'interno delle cellule e dagli ormoni che trasportano la "memoria" attraverso gli umori fluidi corporei per attivare gli organi e i muscoli".

 

the-book-of-tea. Questa storia mi fa tornare in mente un racconto del libro di Okakura "Book of Tea " (Il Libro del tè). A detta di Lu Wu, l'acqua di un ruscello di montagna è quanto di meglio ci possa essere; seguono, in ordine di eccelenza, l'acqua di un fiume e l'acqua di sorgente.
Gli antichi distinguevano le diverse qualità di acqua, a seconda che fosse di ruscello, di fiume o di sorgente, in base all'odore. Oggigiorno possiamo sapere se si tratta di un'acqua di città o di montagna anche in base al sapore, per via degli additivi chimici sempre più usati. Nell'antichita', quando gli additivi chimici non esistevano, era possibile riconoscere i diversi tipi di acqua soltanto dall'odore. Se il nostro odorato fosse ancora acuto quanto quello dei nostri avi o quello dei salmoni, potremmo evitare di aggiungere delle sostanse chimiche all'acqua potabile, e quindi eviteremmo anche di inquinare le acque.
Ritornando ai salmoni, ora capisco come facciano a ritrovare il luogo d'origine. Ma subito dopo mi si presenta un'altro inerrogativo: come può l'odore del luogo d'origine attirare il salmone adulto? Siete capaci voi di rispondere? Non penso che la scienza possa risolvere questo interrogativo, così come non è in grado di spiegare perchè ci si ammala di cancro o di infarto e via dicendo.
E la ragione è che la scienza vuole capire la modalità dei fenomeni e non la loro causa. Solamente la filosofia di vita, ovvero il principio di yin e yang, può dare una risposta a tale interrogativo.Vi invito perciò a cercare di risolvere da soli questa questione, in modo da arrivare a capire l'importanza e il potere del pensiero yin-yang e, soprattutto, la bellezza della vita stessa.

 

 

salmone. Maggio 1977

Dopo aver scritto l'articolo precedente, ho letto un'altro capitolo dello stesso volume "Acqua". Fui attratto in particolare dal capitolo intitolato "Come mai i salmoni risalgono i fiumi?". Con mia grande sorpresa, Platt non rispose all'interrogativo che si era posto; scrisse invece quanto ho detto in precedenza: "Tutte le sofisticate tecniche scientifiche non riescono a trovare la ragione di alcunchè nella vita. Attraverso di esse si riesce si a determinare la struttura delle molecole, come nel caso del DNA, e il modo in cui funzionano, ma esse non spiegano affatto perche' le molecole sono come sono. Nondimeno sono state scoperte delle leggi meravigliose che governano la vita, e gli organismi viventi sembrano avere senso ogni qualvolta li vediamo comportarsi conformemente a tali leggi."


Fantastico! il signor Platt aveva scritto seguendo una logica eccellente. Eppure quanto scrisse in seguito mi deluse:" La legge che ci interessa in questo caso è quella tradizionale, concepita da Charles Darwin, secondo la quale le diverse speci sono il risultato della sopravvivenza attraverso la selezione naturale. In altre parole, i salmoni si sono evoluti da speci precedenti che sopravvissero a forza di superare i grandi ostacoli fisici che incontrarono per potersi riprodurre alla sorgente dei fiumi."
Ancora una volta chi scrive torna a chiedersi : "Perchè ?."
E' senz'altro un pensatore: "Perchè quindi i predecessori dei salmoni attuali hanno dovuto cimentarsi in tali sforzi per poter sopravvivere? Perche' dovevano proprio riprodursi controcorrente ? La risposta è che non erano certo obbligati a farlo. Avrebbero potuto andarsene nella direzione opposta e svanire in pieno anonimato tra le miriadi di pesci oceanici...".
L'autore a questo punto, ha lasciato perdere la spiegazione del "perchè" , in quanto non riesce a pensare in termini di "perche' " , riesce invece a pensare in termini di "come", da buon scienziato qual'è. Platt cerca di spiegare come fanno i salmoni ad acquisire l'istinto di riprodursi a monte dei fiumi. Egli giunge alla conclusione che, durante l'evoluzione delle speci ittiche, durata qualche millennio di anni, i salmoni hanno acquisito dei caratteri genetici che non permettono loro di fecondare le uova in acqua salata. Durante l'era glaciale, a detta dell'autore, le foci dei fiumi erano piene di acqua dolce per via del giaccio che si scioglieva in continuazione. Dovevano quindi esserci tantissimi punti lungo la costa dov'era possibile attuare la riproduzione, cosa che evitava ai salmoni di risalire i fiumi. Man mano che i ghiacci si ritirarono però, i salmoni dovevano nuotare sempre più all'interno per potersi riprodurre. La sua spiegazione è eccellente, tuttavia non arriva a spiegare il come o il perchè i salmoni abbiano acquisito tali geni che non permettono loro di fecondare le uova in acqua salata.
Finora non ho mai letto un libro nè conosciuto qualcuno che abbia risposto a questa domanda: perchè i salmoni risalgono i fiumi per riprodursi? Come ho scritto anche prima, lo scienziato ha rinunciato a trovare una risposta, limitandosi a descrivere come facciano i salmoni a risalire i fiumi per riprodursi.
Non è forse questa una grave limitazione della scienza e soprattutto della medicina? Di recente, la scienza in generale e la medicina in particolare hanno fatto dei progressi enormi. Tuttavia il loro progresso è consistito nell'apprendere il " come " dei fenomeni, ma non nello scoprirne il "perchè". Ora si sa come andare nello spazio o sulla luna; come far di calcolo più rapidamente che col proprio cervello o con un pallottoliere giapponese; come fare un trapianto di cuore o di fegato o di reni, e come operare un tumore maligno. Non ci si chiede mai però in primo luogo perchè ci si ammala di cancro, o di insufficenza renale, o di infarto. In altre parole, la medicina moderna usa solo delle cure sintomatiche. in realtà non è in grado di eliminare nessuna malattia. Si limita soltanto a scacciarne i sintomi, mentre le cause profonde della malattia rimangono. Perciò, le persone malate che vengono curate con la medicina sintomatica rimangono malate della stessa malattia, o si ammalano di un'altra, riducendosi in condizioni ancora peggiori.
Per poter risolvere alcuni dei tanti problemi della vita, come gli infarti o il cancro, dobbiamo chiederci perchè ci vengono queste malattie, prima ancora di capire come fare a curarle. Per poter rispondere al perchè, dobbiamo innanzitutto conoscere le leggi che governano la vita. Dobbiamo capire come funziona la vita o com'è regolata. Ovvero, per poter capire la causa del cancro dobbiamo capire i principi della vita, la sua struttura, che è poi l'ordine dell'universo.
Nella filosofia orientale, la vita, la natura e l'universo sono mossi da due forze: yin e yang. La vita è una tela intessuta da due forze; l'espansione e la contrazione, la luce e l'ombra, il più e il meno, il polo positivo e il polo negativo, l'acidità e l'alcalinità, il maschio e la femmina, la pace e la guerra. L'interazione di queste due forze avviene secondo determinate regole che sono dette i principi della vita, o principi dell'universo. Se esaminiamo i misteri dell'esistenza alla luce di tali principi, possiamo rispondere a molti interrogativi. Per esempio, vi mostrerò come risolvere il mistero dei salmoni, usando il principio di yin e yang.
Prima di tutto, per poter rispondere al perchè i salmoni risalgono i fiumi, dobiamo chiederci perchè i piccoli dei salmoni scendono verso l'oceano. Già qui si può applicare yin e yang. In base a questo principio, yin attrae yang e yang attrae yin. Tale legge risulta risulta valida per tutti i fenomeni, nei campi della fisica, della chimica, della dietetica, della medicina, dell'economia, della politica, del matrimonio e di qualsiasi altra cosa possiate immaginare. Questa legge risolve il mistero dei salmoni. A questo punto però bisogna decidere alcune cose, se si intende usare yin e yang. I giovani salmoni sono yin o sono yang? I fiumi a monte sono yin o yang? E l'oceano è yin o yang? Una volta nell'oceano i salmoni sono yin o yang? Un uovo di salmone è yin o yang? Se si risponde correttamente a queste domande, il mistero dei salmoni può essere risolto attraverso un semplice ragionamento logico.
Per prima cosa si pensi alle uova di salmone, chiamate "caviale", che costituiscono un piatto prelibato, servito nei migliori ristoranti . Si tratta di piccolissime uova rotonde, rosse, compatte e saporite. Quindi yang. Sono talmente yang da respingere l'ambiente oceanico, yang a sua volta, perchè salato e continuamente in movimento, secondo la legge per cui gli uguali si respingono. I salmoni devono cioè trovare dei luoghi yin per deporre le proprie uova. Questo è il motivo per cui risalgono i fiumi, dove l'ambiente è yin, in quanto freddo, calmo ed ad altitudine elevata. I piccoli salmoni che fuoriescono dalle uova così yang sono yin, sebbene posseggano una forte potenzialita' yang.
Ecco perchè i giovani salmoni (yin) sono attratti dall'oceano (yang); ed ecco quindi intraprendere il viaggio verso l'oceano, che è yang. Il giovane salmone deve superare molte difficoltà nel fiume prima di raggiungere l'oceano. Ciò significa che durante il viaggio i più forti sono diventati alquanto yang, cioè ancora più forti, mentre i deboli cioè i più yin, sono stati man mano eliminati. I sopravvissuti cresceranno fino a raggiungere l'età adulta nell'oceano. L'acqua fredda, le onde forti, gli attacchi da parte dei pesci più grossi, le tempeste e altre mille difficoltà naturali che i salmoni si trovano a dover affrontare, li rendono più forti e yang. Nel giro di quattro anni i salmoni diventano così yang da sentirsi attratti dall'acqua tranquilla e yin di alta montagna. Il luogo yin che più li attrae è quello in cui sono nati. Di questo luogo, i profumi, gli odori dei cibi, le immagini di sassi, alberi ed acque sono ben impressi nella loro memoria, ed esercitano un notevole potere di attrazione su di loro. Il loro istinto più profondo li guida verso quel luogo dove sanno di poter deporre le uova.
Durante tutto il viaggio non mangiano, diventando così ancora più yang, cosa che li fa desiderare maggiormente di raggiungere lo yin del fiume a monte. Una volta giunti a destinazione, depongono le uova, anche in questo caso motivati dalle forze naturali di yin e yang. Cedendo alla natura la loro qualità più yang, le uova, i salmoni diventano yin, perdono le scaglie, si adagiano sul fonde del torrente per poi svanire nell'acqua.
Quindi la vita di un salmone è un tipico esempio di fenomeno yin-yang. Vi invito a pensarci sopra. Forse che la nostra vita non è simile a quella dei salmoni? Dal punto di vista macrobiotico, il salmone è uno dei cibi più yang, e per di più è squisito!Grigliato, fritto o al forno, costituisce un pasto eccellente, se lo accompagnamo con dei ravanelli, dello zenzero o del limone. Il salmone comperato nei negozi è in genere meno saporito perchè meno fresco. Ma se lo pescate direttamente dall'oceano o da un fiume, il suo sapore sarà indimenticabile.

 

 

salmone. Un giorno, da poco ritornato da un viaggio in Giappone, andai a pescare sul fiume Feather. Lungo le rapide c'erano dei salmoni che saltavano dappertutto. Il sole di fine estate molto forte sulla riva e faceva un gran caldo. Verso mezzogiorno, tutti gli altri pescatori se ne erano andati, lasciandomi solo. Gettai l'amo verso il centro del torrente e cominciai a ritirare la lenza, che a un cero punto si tese al massimo. Riuscii ad allentarla e poi cercai di riavvolgerla, tirando. Improvvisamente vidi che cominciava a risalire la corrente da sola: vi si era attaccato un salmone. Che sorpresa! Avevo preso un salmone. Questo intanto si muoveva sempre piu' rapido controcorrente. Cercai invano di legare la lenza al mulinello. Il salmone tirava con così tanta forza che le dita cominciavano a farmi male. Chiamai joe, Fred e il Signor Kurosawa, affinchè venissero ad aiutarmi, ma nessuno rispose. Poi la lenza si spezzò. Il pesce era sparito nell'acqua profonda per portare a termine la sua missione: la riproduzione.

 

Quanta forza ha ancora un salmone dopo aver fatto più di tremila chilometri attraverso l'oceano! E dire che non si fermano nemmeno per mangiare durante questo viaggio. Mi sedetti sulla riva del fiume e riflettei un attimo sui misteri dell'esistenza.

I salmoni si riproducono in montagna per poi, una volta nati, scendere verso l'oceano, dove crescono e raggiungono la maturità. In questo stadio della loro vita risalgono il fiume per la prima ed ultima volta per raggiungere il luogo in cui sono nati. Qui danno vita alla loro progenie e poi muoiono.

La maggior parte della loro vita la passano in un oceano che è paragonabile alla nostra esistenza dopo gli studi scolastici. La vita dei salmoni e quella degli uomini non sarebbe poi tanto diversa se non per quello che succede nella vecchiaia. La vecchiaia degli esseri umani corisponde al pensionamento, mentre quella dei salmoni è avventurosissima. Il salmone affronta tutti gli ostacoli che un fiume gli può presentare: la lotta contro contro un pesce predatore, l'amo di un pescatore, le rapide, ecc. Tutti questi sforzi eroici li fa per la sua progenie. Dopo aver deposto le uova, muore. Che esistenza semplice e pura! Quale saggezza! Quale esempio di dedizione alla continuità della specie! Gli uomini moderni invece considerano il sesso solo come piacere. Un figlio è solo il sottoprodotto indesiderato del proprio piacere, uno dei rischi che si corrono durante la propria esistenza. E va bene: l'uomo può fare tutto quello che vuole.

Quello che ho imparato dai salmoni è che fanno il viaggio più avventuroso proprio alla fine della loro vita, quando al contrario gli esseri umani si ritirano da ogni attività per vivere col sostegno dell'assistenza sanitaria o della pensione.

Anche l'uomo invece dovrebbe vivere l'avventura più grande alla fine dei suoi giorni. Altrimenti la sua vita sarà stata meno interessante di quella di un salmone.

Conosco un uomo di questo tipo: George Ohsawa.

 

 

 

waterVERSO LA LIBERTA', VIAGGIO NELLE TERRE DEGLI INDIANI DELLE COSTE DEL NORD-OVEST - Estate 2000

......Appunti..... Appunto!

Un lungo viaggio parte con il primo passo. L'ho letto da qualche parte e lo devo aver trascritto da qualche altra, ma ormai deve essere seppellito sotto quella immensa pila di libri, carte, fogli, documenti, riviste, giornali, che giace e sta crescendo, quasi vivesse di vita propria, sulla scrivania e nella stanza, guardandomi beffardamente tutti i giorni.

Il viaggio verso il British Columbia (Canada occidentale) è iniziato, solita trafila aeroportuale e poi sono immersa nell'oblio del volo nel tempo, con le spaventevoli pause cibo-Chernobyl e, come nelle memorie dei nostri emigranti, apro la mia valigia di cartone e apparecchio con i panini al seitan e verdure e bevo il mio calice di bancha. Ricado nell'oblio, avvolta nella copertina verde-sonno e mi sveglio solo due giorni dopo quando il camper lascia Vancouver, diretto al Nord, alle Queen Charlotte Islands, regno degli indiani Haida, una delle prime popolazioni arrivate, nel nord delle Americhe, almeno 12.000 anni fa dalle regioni asiatiche, al seguito dei grandi animali, attraversando lo Stretto di Bering.

Cosa spero di trovare? Cosa cerco? E poi, perchè così lontano?

La strada si snoda tranquilla, lungo paesaggi maestosi, cieli maestosi, fiumi maestosi, qui le dimensioni Europee sono lillipuzziane, e finisco per perdere la mia fisicità e l'antropocentrismo cattolico, per una più serena e taoistica visione dell'uomo.

Io, donna, piccola accanto alla montagna, microcosmo appoggiato e compenetrato al suo macrocosmo, e il cuore si dilata, gli occhi si spalancano ad una nuova e costante luce. Luce di materia fatta di spirito. Se continua così mi scioglierò prima di aver posato un solo piede sul suolo nativo! Meno male che ogni tanto ci sono la banalità e la bruttura di città formato "tutto compreso": pompe di benzina, Mac Donalds, Ufficio del Turismo, Dairy Queen, coffe-shops, etc....

Ad un bivio, ove le strade sembrano poi ricongiungersi, scelgo di andare a sinistra, verso D'Arcy.

A pomeriggio inoltrato arrivo ad un campeggio. Il cartello avverte:"Quello che per voi è l'inferno, è il nostro paradiso, comportatevi con cura e rispetto".

Scopro di essere alla fine della strada, qui due mondi e due visioni si scontrano: la visione di un paradiso ipotetico futuro, e quella del paradiso qui ed ora. Come un lampo dalla pila beffarda di casa esce un bigliettino: "Per voi uomini bianchi il paradiso è in cielo, per noi il paradiso è la terra. Quando ci avete rubato la terra, ci avete rubato il paradiso" (Piccola Foglia 1990).

Tiro il bigliettino e scivola fuori un foglio:....l'idea messianica...altro non è che un rifiuto del mondo così com'è adesso e l'invocazione di qualcosa di migliore a venire, in un tempo fuori dal tempo. Nell'originaria mitologia dei popoli coltivatori, il giardino del Messia è l'adesso, qui ed ora, la divinità o la potenza divina è già viva in tutte le cose, perchè è morta a se stessa. Essa è in noi, e noi siamo lei, perchè anche noi siamo morti al nostri io. Non c'è nulla che debba venire, nulla da cambiare, il divino è qui ed ora...

Forse è questo che sto cercando, il qui ed ora, il senso del sacro, il legame con la Dea Madre, la Terra, attraverso la quale il Cielo manifesta se stesso: i suoi Fiumi, il mio sangue; il Vento, il mio Respiro; i suoi Alberi, i miei Occhi; il Terreno, il mio Corpo.

Domani risaliro' il fiume, che i proprietari del campeggio mi assicurano pieno di salmoni che tornano a casa, in questo periodo dell'anno, per deporre le uova. Alla luce del giorno il fiume si rivela color porpora e smeraldo tanto è pieno di salmoni, nuotano risoluti verso la meta, contro corrente, contro la schiuma ribollente del fiume.

Tutti insieme verso il loro approdo finale, presto, presto, dobbiamo arrivare, deporre le uova e morire, dicono all'unisono, con quel colore intenso, segno dell'immensa e gioiosa fatica, poichè giungono da molto lontano, dall'oceano primordiale. Seguo il fiume per un lungo tratto, irretita da tanta tragica bellezza, seguo la Danza dei Salmoni, dimentica del tempo, del luogo, dello spazio. Mi smembro, ancora una volta, perdo la mia fisicità ed entro nel fiume, non sento l'acqua scorrermi intorno, sono sempre stata nell'acqua, sono un salmone accanto ad altri esseri come me, e nuoto, e nuoto, e nuoto, sempre più veloce, sempre più forte, con rinnovato vigore ad ogni colpo di coda, ad ogni salto per arrivare alla mia sorgente, dove sono nata, alle acque calme che mi hanno nutrita e protetta prima del grande viaggio verso l'infinito Oceano.

Improvviso il dolore, mi manca il respiro, sono ritornata nel mio corpo, ho lasciato il mio sogno per ritrovarmi di fronte ad uno sbarramento creato dall'uomo. Da una riva all'altra, diaboliche griglie impediscono ai salmoni di saltare di là, di portare a termine il viaggio. Li guardo dalla riva, i Salmoni, e leggo il loro smarrimento, non riescono, non possono capire, la loro memoria non registra quell'ostacolo insormontabile, il fiume, la terra non ha mai prodotto ostacoli insormontabili. Il senso del dolore è grande. La libertà e la gioia sono svanite. Il senso dell'esistere spezzato. Sono li a centinaia, sotto la cascata di acqua, tentando e ritentando di oltrepassare le griglie, invano.

scoiattolo. Ancora una volta l'uomo ha rubato il paradiso. La fabbrica del pesce ha preparato una deviazione, in modo che i salmoni vadano a deporre le uova nei bacini da lei costruiti, il viaggio si tramuta in un allevamento per profitti insaziabili, per bocche insaziabili. Quanta lontananza dalla comunione dell'uomo con la Terra e il Cielo di cui l'indiano parla. Sono passati due giorni e la tristezza fatica ad andarsene. L'incontro con uno scoiattolo infine mi riconcilia con la vita: volevo dargli una mandorla, lui prima mi morde il dito, poi si prende la mandorla.......

Enrica Artaria

Reflessologa, Rebirther, Insegnante di alimentazione e salute secondo la Medicina del Cielo e della Terra. Da anni ricercatrice dell'uomo e di se stessa. Collabora con diversi Centri di Discipline Orientali e Olistiche nel Nord Italia.

 

 

 

capo-indiano. RISPOSTA DEL CAPO INDIANO SEATTLE AL GRANDE CAPO BIANCO DI WASHINGTON, CHE VOLEVA COMPERARE UNA GRANDE ESTENSIONE DI TERRE INDIANE, PROMETTENDO AGLI INDIANI UNA RISERVA.
Come si può comprare e vendere il firmamento o il calore della terra ?
Noi non conosciamo questa idea. Se non siamo padroni del fresco dell’aria nè della purezza delle acque, voi come potete comprarli ?
Ogni pezzetto di questa terra è sacro per il mio popolo; ogni granello di sabbia della spiaggia, ogni goccia di rugiada dei boschi e perfino il ronzio di ogni insetto è sacro per la memoria ed il passato del mio popolo.La linfa che circola nelle vene degli alberi porta con sè la memoria dei pellerossa.
I morti dell’uomo bianco, quando iniziano il loro cammino fra le stelle dimenticano il loro paese di origine; in cambio i nostri morti non possono mai dimenticare questa terra buona, dato che è la madre dei pellerossa. Noi siamo parte della terra ed allo stesso tempo la terra è parte di noi.
I fiori profumati sono nostri fratelli; la selvaggina, il cavallo, la grande aquila: sono tutti nostri fratelli.
Le montagne scoscese, i prati umidi, il calore del corpo del cavallo e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.
Perciò quando il grande capo di Washington nel suo messaggio ci dice di voler comprare le nostre terre, ci sta domandando troppo. Ma il Grande Capo ci dice anche che ci lascerà un luogo dove poter vivere confortevolmente fra di noi. Lui diventerà il nostro padre e noi i suoi figli. Per questo prendiamo in considerazione la sua offerta di comprare le nostre terre. Non è facile, perchè questa terra per noi è sacra. L’acqua che scorre nei fiumi e nei torrenti, non è acqua solamente, ma rappresenta anche il sangue dei nostri antenati.
 

Se vendiamo le terre, dovete ricordarvi che sono sacre ed allo stesso tempo glielo dovete insegnare ai vostri figli; e gli dovete insegnare che ogni riflesso fantasmagorico nelle acque limpide dei laghi racconta la storia e le memorie della vita della nostra gente. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli e saziano la nostra sete; portano le nostre canoe ed alimentano i nostri figli. Se vendiamo le nostre terre, dovete ricordare ed insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli e quindi dovete trattarli con la stessa dolcezza con cui si tratta un fratello.
Sappiamo che l’uomo bianco non capisce il nostro modo di vivere. Lui non sa distinguere fra un pezzo di terra ed un altro, perchè è come un estraneo che arriva di notte e prende dalla terra ciò di cui ha bisogno. La terra non gli è sorella, ma nemica, ed una volta conquistata prosegue il suo cammino lasciandosi dietro la tomba dei suoi padri, e non gli importa niente. Sequestra la terra ai suoi figli: ed anche questo non gli importa. Dimentica sia la tomba dei suoi padri sia il patrimonio dei suoi figli.
Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il firmamento, come oggetti che si comprano, si sfruttano e si vendono come pecore.
La sua fame divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo il deserto.
Non so, ma il nostro modo di vivere è diverso dal vostro. Solamente il vedere le vostre città rattrista i pellerossa. Ma forse sarà perchè il pellerossa è un selvaggio e non capisce niente.
Nella città dell’uomo bianco non esiste un uomo tranquillo, nè un luogo dove ascoltare come si aprono le foglie degli alberi in primavera o come volano gli insetti. Ma anche questo dev’essere perchè sono solo un selvaggio che non capisce niente.
Il rumore sembra un insulto alle nostre orecchie. E dopotutto, a che serve la vita se l’uomo non può ascoltare il grido solitario del gufo, nè le discussioni notturne delle rane sulla riva della palude?
Sono un pellerossa e non capisco niente. Noi preferiamo il lieve sussurro del vento sulla superficie della palude e pure l’odore dello stesso vento purificato dalla pioggia del mezzogiorno o profumato dall’aroma del pino.
L’aria ha un valore incalcolabile per il pellerossa, perchè tutti gli esseri partecipano della stessa aria: la bestia, l’albero, l’uomo, tutti respirano la stessa aria. L’uomo bianco non sembra consapevole dell’aria che respira: come un moribondo durante un’agonia molto lunga egli è insensibile alla puzza.
Ma se vendiamo le nostre terre dovete ricordarvi che l’aria per noi è inestimabile. Il vento che ha dato il primo respiro di vita ai nostri nonni riceve anche il loro ultimo respiro.
E se vi vendiamo le nostre terre, voi dovete conservarle come qualcosa di diverso e sacro,come un luogo dove anche l’uomo bianco possa assaporare il vento profumato dei fiori dei prati.
Per questo prendiamo in considerazione la vostra offerta di comprare le nostre terre. Se decidiamo di accettarla, io porrò delle condizioni: l’uomo bianco dovrà trattare gli animali di questa terra come suoi fratelli.
Sono un selvaggio e non capisco altro modo di vivere.
Ho visto migliaia di bufali marcire nelle praterie, uccisi dalle pallottole dell’uomo bianco, sparate da un treno in marcia. Sono un selvaggio e non capisco come una macchina fumante possa interessare di più del bufalo che noi ammazziamo solo per sopravvivere.
Che sarebbe dell’uomo bianco senza gli animali? Se fossero sterminati tutti, anche l’uomo bianco morirebbe di solitudine spirituale perchè ciò che succede agli animali, succederà anche all’uomo.
Dovete insegnare ai vostri figli che la terra che voi calpestate è la cenere dei nostri padri. Inculcate ai vostri figli, come noi abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è la nostra madre.
Tutto ciò che accade alla terra, accadrà ai figli della terra.
Se gli uomini sputano in terra, sputano su sè stessi.
Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla terra.
Questo è ciò che sappiamo. Tutto è collegato, come il sangue che unisce una famiglia. Tutto è collegato.
Non è stato l’uomo a tessere la trama della vita: egli è soltanto un filo. Quello che fa alla trama, lo fa a sè stesso.
Neppure l’uomo bianco, il cui Dio passeggia e parla con lui da amico ad amico, sfuggirà al destino comune.
Nonostante tutto, forse siamo fratelli. Lo vedremo.
Sappiamo una cosa che forse l’uomo bianco un giorno scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio.
Voi adesso potete pensare che vi appartenga così come desiderate che vi appartengano le nostre terre. Ma non è così.
Egli è il Dio degli uomini e la sua compassione si distribuisce nella stessa misura fra il pellerossa e l’uomo bianco.
Questa terra ha un valore inestimabile per Lui e se viene danneggiata si provocherebbe l’ira del Creatore.
Anche i bianchi perirebbero, forse prima delle altre tribù.
Contaminate i vostri letti ed una notte perirete affogati nei vostri stessi residui.
Ma voi camminerete verso la vostra distruzione circondati di gloria, ispirati dalla forza del Dio che vi ha guidati a questa terra e che a causa di qualche destino speciale vi ha dato il dominio su di essa e sopra i pellerossa.
Questo destino è per noi un mistero, in quanto non capiamo perchè vengono sterminati i bufali, perchè si domano i cavalli selvaggi, perchè vengono saturati gli angoli segreti dei boschi con il respiro di tanti uomini e si riempie il paesaggio delle colline lussureggianti con cavi parlanti.

Dov’è la pianura ?
Dov’è l’aquila ?
E’ scomparsa.

Finisce la vita ed incomincia la sopravvivenza.

 

 

enrica-andrea. Una serata insieme, un modo per stare vicini e trascorrere piacevoli ore in compagnia.

Uno di fronte all’altra, una accanto all’altro.

Una tavola verde di crudità e freschezze, occhi chiari e limpidi di fronte ai miei, serenità e simpatia, tante chiacchiere su passioni e hobbies, tra futuro e passato, stravivendo un presente che si percepiva speciale e potente ma al contempo estremamente leggero.

Ho aperto casa mia aprendo una nuova ed importante parte di me, inedita e sconosciuta per certi aspetti, intima e per natura stessa, personalissima: e l’ho fatto con enorme gioia e gusto, con la sana ed entusiasta voglia di farlo, di accogliere e godere di una splendida compagnia.

Una serata serena, “senza tempo”, tra racconti e aneddoti, all’insegna della condivisione, della partecipazione, senza giudizi e senza paure. Gran valore…

La visione di un mio film di un viaggio insieme, tra ricordi e immagini, suoni e luoghi della memoria: un cammino appassionante e molto evocativo, dal profondo significato per entrambi, con antiche porte di pietra che si sono dischiuse di fronte ad occhi increduli ed eccitati.

Poi ho aperto lo scrigno della mia grande passione musicale, i miei feticci, la mia “malattia”, i miei concerti…Iron Maiden!
Li ho scoperti quando avevo 11 anni, visti dal vivo un numero infinito di volte, conosciuti di persona e cresciuto letteralmente con loro. Cd, dischi, vinili, picture disc, foto, video, la musica e poi Eddie (“The head”), la mostruosa “mascotte” che capeggia su ogni loro copertina, su ogni T-Shirt, simbolo immortale dalle mille incarnazioni, unica ed incontrastata icona rock-metal.

Si parla di Rock, dei nostri cantautori italiani, anche di Rolling Stones, della loro famosissima “Angie” e molto curioso il fatto che assieme ai Maiden con Eddie, gli Stones siano gli unici, nell’immenso e variegato mondo musicale, ad avere un’immagine, un logo o un qualcosa di simile, che li identifichi in modo così celebre, forte ed immediato (le labbra con la lingua fuori…): interessante…! Eddie

Ma soprattutto buffissimo osservare le sue espressioni mentre curiosa e attenta mi ascoltava raccontare di concerti e discografia, sfoggiando orgoglioso immagini poco raccomandabili della mia cara creatura che si mostra su ogni copertina!

Inevitabile a quel punto farle vedere qualcosa degli Iron dal vivo e la scelta è caduta sul videoclip di Blood Brothers, la versione tratta dall’esibizione al Rock in Rio 2001, festival brasiliano davanti a 250.000 Maiden fans in puro delirio.

E non è stata una scelta casuale, il caso non esiste…

Era il ritorno della band, la loro “rinascita” dopo un periodo non propriamente illuminato e felice. La band si riproponeva al pubblico con un disco nuovo (Brave New World) reintegrando lo storico e carismatico cantante Bruce Dickinson (che aveva lasciato nel ’93 per un’ottima carriera solista) e presentandosi con un attacco frontale composto da tre chitarristi.

Un evento che milioni di fans in tutto il mondo attendevano e auspicavano da anni (ed io, se possibile, più di tutti!), una produzione spettacolare, un tour memorabile, adrenalina pura e tanta energia per questi ragazzotti che hanno oggi oltre 50 anni e sono in giro da oltre 30…

Blood Brothers ha uno schema semplice, fatto di cambi di tempo ed una melodia ricorrente, dal vago sapore celtico e intimista, ma soprattutto è da brividi in sede live.

Il basso apre un mid-tempo che si sviluppa per oltre 7 minuti, un ritmo cadenzato come cullati dalle onde del mare o l’ondeggiare avanti e indietro di un dondolo.

Il crescendo sfocia in un ritornello potente, da urlare a squarcia gola, così come anch’io feci allo Stadio Brianteo di Monza, esaurito, nel giugno del 2000.

E una cosa che riempie davvero, il ritrovarsi con accanto decine di migliaia di persone che cantano con te, a me non intimorisce, mi da forza e senso di appartenenza, le emozioni si amplificano ed esplodono. Ero in un periodo felicissimo della mia vita, volavo nel vero senso della parola, entusiasta e colmo di gioia nel cuore e quel concerto l’ha sancito ancor di più. Che ricordi, che estate quella, che anno…

Dopo il secondo ritornello inizia una parte strumentale più delicata, in cui entrano un po’ alla volta tutti gli strumenti, un crescendo emozionante in cui spesso il pubblico è chiamato a marcare il ritmo con applausi a tempo, una cosa di grande impatto. E la voce di Bruce qui si fa più introspettiva, più intima, come a confidare un qualcosa, dare un suggerimento sottovoce… E poi, via! Si riparte ancora in un turbinio crescente di note e potenza per esplodere ancora…

Ho tentato negli anni di condividere questa mia passione con le persone a me vicine, con alcune son riuscito, con altre no e rimarrà un mio cruccio… Perché render partecipi le persone a cui si tiene attraverso le proprie passioni è aprire una parte importantissima di se stessi, dar la possibilità di conoscersi ancora meglio. Lo reputo un dono molto prezioso, reso ancora più grande se chi lo riceve è felice di “curiosare” in noi comprendendone appieno la profondità.

Enrica è stata curiosa nel farlo, abbracciandone il senso. Null’altro importa.

E’ sempre il desiderio e la motivazione il motore della vita.

Una serata insieme, vicini e legati.

Profonda nella sua semplicità.

Insomma, una serata Made in Enrica e Andrea, anzi, Maiden Enrica & Andrea…

“And if youre taking a walk through the garden of life

What do you think youd expect you would see?”

(da Blood Brothers)

 

 

 

gavasseto. DOVE SONO LE CICOGNE ?

Limidi 16 Luglio 2008

Due settimane fa Silvano ,il mio capoufficio, mi aveva parlato di un paesino vicino a Reggio Emilia, dove si poteva ammirare un maestoso nido di cicogne in cima ad un palo. Lui lo ricordava perche’ era andato in un ristorante della zona, ed era giustamente rimasto colpito dalla vista di questa costruzione. Per diversi giorni ho ripensato alle sue parole, piu’ di una volta ho aperto il mio pc e ho consultato una delle tante mappe on-line per vedere dov’era questo posto, GAVASSETO, un paese del Reggiano, vicino ad una fabbrica di gelati , la PRE-GEL .

Devo dire che io sono sempre stata una frana alla guida, l’automobile la uso solo per necessita’ e oltretutto mi fa anche venire sonno, non faccio mai viaggi lunghi sola, la mia autonomia è di un’ora , oltretutto quando non conosco i posti mi sento molto limitata. Ho deciso quindi che sarei andata un giorno alla ricerca delle cicogne pero’ avrei viaggiato con lo scouter di mio figlio, tanto si prospettava un viaggio di 40 minuti circa.Oggi il tempo era bello , ho preparato la telecamera, ho messo una maglia dentro la sella dello Scouter e poi via, dopo il lavoro sono partita per la mia avventura.Il traffico era molto, ma andando verso Rubiera e addentrandomi nella campagna l’aria si e’ fatta sempre piu’ fresca , era bello correre nel vento e sentire gli odori dell’erba , si sentivano anche altri odori meno gradevoli e poetici pero’, in linea con i luoghi comunque. Non sono molto pratica di questi posti, e non ho mai girato tanto come negli ultimi tempi, ho sbagliato strada tante volte, sono tornata indietro, mi sono fermata piu’ di una volta a chiedere informazioni, ma alla fine ce l’ho fatta.

Dopo 1 ora dalla partenza sono arrivata a GAVASSETO Ecco il nido Bene adesso aguzza bene la vista e stai attenta, della PRE-GEL nessuna traccia , del ristorante anche meno speriamo di trovare almeno il nido. Ad un tratto dietro un albero frondoso lo vedo, accidenti ma e’ enorme e guarda dov’e’! Certo che sono state operose queste cicogne. Su un pilone della luce hanno costruito il loro nido.

Ed ecco anche una cicogna.cicogne Mi fermo immediatamente e comincio a scattare delle foto, le cicogne volano sopra di me. Sembrano alianti con le loro grandi ali. Le rincorro con lo sguardo cercando di catturare qualcosa di particolare, ma gia’ la loro presenza è un dono. Forse solo un disco volante potrebbe sortire lo stesso effetto. E’ stupefacente come siano riuscite a costruire un nido cosi’ grande in bilico su un pilone alto 10 mt, e soprattutto che il tutto possa reggere il loro peso, le cicogne sono uccelli cosi’ grandi. Adesso sono sotto il nido, le cicogne sono volate via, peccato, dovranno portare pazienza per poco ancora,Nido qualche foto e poi anche io me ne vado, non riesco a smettere di stare con il naso all’insu’, che spettacolo.

Il cielo comincia a scurirsi e a malincuore ritorno verso il mio scouter per ritornare a casa. Ricordo che Silvano mi aveva detto che il nido è un monumento per questo paesino, gli abitanti sono affezionati alle loro cicogne. E non dubito che sia cosi’ guardate questa ultima foto, la dice lunga

 

 

Lasciate stare le nostre cicogne

 

Bene, a casa adesso, è tardissimo, ciao Cicogne di Gavasseto è stato bello incontrarvi. Durante il viaggio di ritorno mi viene in mente un pensiero divertente, chissa’ qual è il tasso di natalità a Gavasseto, sarebbe interessante scoprirlo.

Domani lo chiedo a Silvano.

Milva

 

 

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